Meditazioni metafisiche – Meditationes de prima philosophia, 1641 e 1642 (con obiezioni e risposte), 1647 in francese.
(Le indicazioni di pagina sono riferite all’edizione LiberLiber)
Prefazione
Dirò solamente in generale che tutto quel che dicono gli atei per impugnare l’esistenza di Dio dipende sempre, o dal fingere in Dio affezioni umane, o dall’aver attribuito ai nostri spiriti tanta forza e saggezza da far presumere di determinare e comprendere ciò che Dio può e deve fare; di guisa che tutto quello che essi dicono non ci darà nessuna difficoltà, purché soltanto ci ricordiamo che dobbiamo considerare i nostri spiriti come cose finite e limitate, e Dio come un essere infinito e incomprensibile. (3)
I Meditazione: dubitare generalmente di tutte le cose, e particolarmente delle cose materiali
12. Supporrò dunque che non Dio, sommo bene, fonte di verità, ma un genio maligno, sommamente potente ed astuto, abbia posto ogni suo sforzo ad ingannarmi; (6)
II Meditazione: lo spirito che, usando della propria libertà… riconosce essere assolutamente impossibile che non esista egli stesso.
2. Suppongo dunque che tutto quello che vedo sia falso; credo che non sia mai esistita nulla di quelle cose che una fallace memoria mi ripropone; non ho assolutamente nessuno dei sensi; il corpo, la figura, l’estensione, il moto, il luogo, lo spazio sono delle pure chimere. Quale sarà dunque la verità? Forse questo solo, che non vi è nulla di certo. (7)
3. Eppure certamente io esistevo, se ho avuto qualche persuasione. Ma vi è un non so quale ingannatore, sommamente potente, sommamente astuto, che di proposito mi inganna sempre. Senza dubbio dunque anche io sono, se mi inganna; e mi inganni pure quanto può, tuttavia non farà mai in modo che io sia nulla, mentre penso di essere qualcosa. Cossiché, dopo aver vagliato in maniera accuratissima tutti gli aspetti del problema, alla fine bisogna ritenere valido questo: la proposizione “Io sono, io esisto“, ogni qual volta viene da me espressa o anche solo concepita con la mente, necessariamente è vera. (7)
Pensare? Ho trovato: è il pensiero; questa sola facoltà non può essere staccata da me. “Io sono, io esisto”; è certo. Ma per quanto tempo? Evidentemente per tutto il tempo che penso; infatti potrebbe anche accadere che, se cessassi da ogni pensiero, cessassi di essere tutto quanto. Fin qui non ammetto se non ciò che è necessariamente vero; e dunque sono esattamente soltanto una cosa che pensa, cioè una mente, un animo, un intelletto o piuttosto una ragione, parole che prima erano, per me, prive di significato. Ma dunque sono una cosa, e che esiste realmente. Ma quale cosa? L’ho detto: una cosa che pensa. (8)
la forza stessa dell’immaginare esiste realmente, (9)
8. Ma che cosa sono dunque? Una cosa che pensa. E che cos’è essa? Certo una cosa che dubita, comprende, afferma, nega, vuole, non vuole, immagina anche e percepisce.(9)
quello che pensavo di vedere con gli occhi in realtà lo comprendo con la sola facoltà di giudizio, che è nella mente.(LL 11)
quando vedo — o piuttosto, cosa che non distinguo più, quando penso di vedere — è assolutamente impossibile che quell’io stesso che pensa non sia qualcosa. Allo stesso modo, se giudico che la cera esiste per il fatto che la tocco, si verificherà la stessa condizione, e cioè che io sono. O per il fatto di immaginarla o per qualsiasi altra causa, avviene sempre la stessa cosa. Ma questa verità che ho raggiunto riguardo alla cera, la si può applicare a tutte le altre cose che sono poste fuori di me. (LL 11)
III meditazione: … è ugualmente. impossibile che l’idea di Dio, che è in Noi, non abbia per causa Dio stesso
6. Per quanto poi riguarda le idee, se saranno viste solo per se stesse e non le riferirò a qualcos’altro, non possono essere propriamente false perché, sia che immagini una capra o una chimera, non è meno vero che immagino l’una come l’altra. (LL 13)
10. Quindi, sebbene quelle idee non dipendano dalla mia volontà, non è evidente che esse necessariamente procedano da cose poste fuori di me. Come infatti quelle inclinazioni di cui parlavo poco fa, sebbene siano in me, tuttavia appaiono diverse dalla mia volontà, così forse in me c’è anche una qualche altra facoltà non ancora da me abbastanza conosciuta, che provoca queste idee, come fino ad ora è sempre sembrato che esse si formino in me mentre sogno, e del tutto al di fuori di ogni contributo delle cose esterne. (LL 14)
nulla può essere generato dal nulla, e neppure che ciò che è più perfetto, cioè che ha più realtà in sé, può derivare da ciò che è meno perfetto. (15)
E per quanto riguarda le idee delle cose corporee… mi accorgo che vi sono solo pochi aspetti che in loro percepisco in maniera chiara e distinta: cioè la grandezza — estensione in lunghezza, larghezza e profondità; la figura, che nasce dal limite di questa estensione; la situazione (luogo), che i corpi aventi diverse figure occupano l’uno rispetto all’altro, ed il movimento, cioè il cambiamento di questa situazione (luogo); ad esse si possono aggiungere la sostanza, la durataed il numero; il resto poi, come la luce, i colori, i suoni, gli odori, i sapori, il caldo e il freddo, e le altre qualità sottoposte al tatto non sono contenute nel mio pensiero se non in maniera molto confusa ed oscura, cosicché ignoro addirittura se siano vere o false, cioè se le idee, che ho di esse, siano idee di alcune cose o di non-cose. (Meditazioni metafisiche, La 41, LL 16)
Quando penso infatti che la pietra è una sostanza — ossia una cosa che è adatta ad esistere di per sé — e anche io sono una sostanza, sebbene comprenda che io sono una cosa che pensa e non una cosa estesa, mentre la pietra è una cosa estesa e che non pensa, e quindi che massima è la diversità tra l’uno e l’altro concetto, tuttavia sembrano appartenere al tipo della sostanza. (16)
Tutte le altre cose poi dalle quali sono formate le idee della realtà corporea, cioè l’estensione, la figura, il luogo ed il moto, non sono contenute formalmente in me, dal momento che io non sono nient’altro che una cosa che pensa; ma poiché esse sono soltanto alcune modalità della sostanza, ed io sono una sostanza, sembra che possano essere contenute in me eminentemente. (17)
io, cioè una cosa o una sostanza pensante (18)
ma bisogna ad ogni modo concludere che per il solo fatto che esisto, e che una qualche idea di un essere perfettissimo è in me, cioè l’idea di Dio, si può dimostrare in maniera evidentissima che anche Dio esiste. (20)
IV meditazione: è provato che le cose che noi concepiamo chiaramente e distintamente sono tutte vere; ed insieme è spiegato in che consista la ragione dell’errore o falsità.
E quando considero che io dubito, cioè che sono una cosa incompleta e dipendente, mi viene in mente l’idea chiara e distinta di un ente indipendente e completo, cioè Dio; e per il solo fatto che tale idea è in me — o piuttosto che io che ho quella idea esisto — concludo manifestamente che anche Dio esiste — e da quello nei singoli momenti dipende tutta la mia esistenza — e confido che niente di più evidente, niente di più certo possa essere conosciuto dall’ingegno umano. (LL 21)
3. Quindi sperimento che in me c’è una qualche facoltà di giudicare, che certamente, come tutte le altre cose che sono in me [54], ho derivato da Dio; e poiché egli non mi vuole ingannare, sicuramente non mi ha concesso questa facoltà in modo che, mentre me ne servo correttamente, possa mai errare. (LL 21)
E così in maniera sicura comprendo che l’errore, in quanto è errore, non è un qualcosa di reale che dipenda da Dio, ma è soltanto una mancanza; né quindi per sbagliare mi è necessaria una qualche facoltà data da Dio a questo fine. Mi accade tuttavia di sbagliare, per il fatto che la facoltà di giudicare il vero, che ricevo da lui, in me non è infinita. Ma in realtà questo non mi soddisfa ancora completamente; infatti l’errore non è una pura negazione, ma una privazione, o piuttosto l’incompletezza di una certa conoscenza, che in me ci dovrebbe essere in qualche maniera. (LL 22)
8. E quindi, osservandomi più da vicino e ricercando quali siano i miei errori — che soli dimostrano in me la presenza di qualche imperfezione — comprendo che essi dipendono dal concorso di due cause, cioè dalla facoltà di conoscere che è in me, e dalla facoltà di scegliere, cioè dalla libertà dell’arbitrio, cioè dall’intelletto e insieme dalla volontà. (LL 22)
9. Da ciò poi avverto che la facoltà di volere, che ho da Dio, guardata di per se stessa, non è causa dei miei errori — infatti è grandissima e perfetta nel suo genere — e neanche la facoltà di intendere — infatti tutto ciò che comprendo, dal momento che il dono dell’intelletto proviene da Dio, senza dubbio lo comprendo bene, né in ciò può avvenire che io sia ingannato. Donde nascono quindi i miei errori? Certo dal solo fatto che, siccome la volontà si estende più dell’intelletto, non riesco a costringerla dentro gli stessi limiti, ma la rivolgo anche a ciò che non comprendo; e dal momento che è indifferente a tali cose, facilmente si distacca da ciò che è vero e buono, e così mi inganno e pecco. (LL 23)
Ora poi non soltanto so che io, in quanto sono una cosa che pensa, esisto, ma inoltre mi si presenta anche una qualche idea della natura corporea, ed accade che dubiti se la natura pensante che è in me, o piuttosto che io stesso sono, sia diversa da questa natura corporea, o se ambedue siano la stessa cosa. Suppongo che ancora nessun motivo si presenti al mio intelletto, che mi persuada dell’una piuttosto che dell’altra cosa. Certamente per questo stesso fatto sono indifferente ad affermare o negare una qualsiasi di queste due cose, o anche a non dare alcun giudizio su questo argomento. (La 55, LL24)
12. Se mi astengo dal dare un giudizio, quando non concepisco in maniera abbastanza chiara e distinta che cosa sia vero, è chiaro che agisco bene e non mi sbaglio. Ma se affermo o nego, allora non mi servo bene della libertà di arbitrio; e se mi [60] volgerò a quella parte che è falsa, sicuramente sbaglierò; qualora invece abbraccerò la parte contraria, certo mi troverò nella verità per caso, ma non sarò perciò privo di colpa, perché secondo il lume naturale è chiaro che la comprensione dell’intelletto deve sempre precedere la determinazione della volontà. Ed in questo uso non corretto del libero arbitrio c’è quella privazione che costituisce la forma dell’errore; la privazione, dico, si trova nella stessa operazione per quanto dipende da me, ma non nella facoltà che ho ricevuto da Dio, e neanche nella operazione per quanto dipende da lui.(LL 24)
sebbene esperimenti che in me c’è una debolezza della mia natura tale che non posso stare sempre legato ad una medesima conoscenza, posso tuttavia con una meditazione attenta e più volte ripetuta fare in modo che mi ricordi di tale debolezza, ogni qual volta ve ne sia l’utilità, e così acquisti una certa consuetudine a non sbagliare. (LL 25)
V meditazione: dell’essenza delle cose materiali e di nuovo di dio e della sua esistenza
Ma per il fatto che non posso pensare Dio se non esistente, ne consegue che l’esistenza non è separabile da Dio, e che egli quindi realmente esiste; non perché il mio pensiero provochi ciò, o imponga una qualche necessità ad alcuna cosa, ma al contrario perché la necessità della cosa stessa, cioè dell’esistenza di Dio, mi determina a pensarlo; ed infatti non dipende dal mio arbitrio il poter pensare Dio — cioè un ente sommamente perfetto senza la somma perfezione — senza esistenza, come è in mio potere immaginare un cavallo con le ali o senza ali.(LL 27)
15. Ma dopo che ho compreso che Dio esiste, poiché nello stesso tempo ho compreso anche che tutto il resto dipende da lui, e che egli non inganna; e quindi da questo ho giudicato che tutte quelle cose, che comprendo in maniera chiara e distinta, sono vere necessariamente; (LL 29)
VI meditazione: dell’esistenza delle cose materiali e della reale distinzione tra l’anima e il corpo dell’uomo
triangolo e chiliagono (LL 30)
Sebbene forse (o piuttosto, come dirò poi, sicuramente) so che ho un corpo, che è congiunto a me in maniera fortissima, poiché tuttavia da una parte ho l’idea chiara e distinta di me stesso, in quanto sono soltanto una cosa che pensa, e non una cosa estesa, e dall’altra parte ho un’idea distinta del corpo, in quanto è cosa solo estesa, e non pensante, è certo che io in realtà sono distinto dal mio corpo, e posso esistere anche senza di esso. (LL33)
per il fatto che alcune di queste percezioni mi sono piacevoli, altre spiacevoli, è sicuramente certo che il mio corpo, o piuttosto tutto me stesso, in quanto sono composto di corpo e di mente, può essere fatto oggetto di vari benefici e danni dai corpi che lo circondano. (LL 34)
in verità un uomo malato è una creatura di Dio non meno di quanto lo sia uno sano; (LL 36)
Al contrario, nessuna cosa corporea o estesa può essere da me pensata, che non si possa dividere facilmente in parti col pensiero, e che io non comprenda come divisibile; e questa sola notazione , se non lo sapessi già in modo abbastanza chiaro da un’altra fonte, basterebbe ad insegnarmi che la mente è completamente diversa dal corpo. In secondo luogo, comprendo che la mente non è condizionata immediatamente da tutte le parti del corpo, ma soltanto dal cervello, o forse anche da una piccolissima parte di esso, cioè da quella in cui si dice che vi sia il senso comune; questa , ogni volta che è disposta allo stesso modo, fa sentire le stesse cose alla mente, anche se tuttavia le altre parti del corpo possono essere disposte in modi diversi tra loro, come provano innumerevoli esperienze, che non c’è bisogno qui di passare in rassegna. (37)
Addirittura, quegli iperbolici dubbi dei giorni precedenti sono degni di suscitare scoppi di risa. Soprattutto quel dubbio generale riguardante il sonno, che non distinguevo dalla veglia; ora infatti comprendo che vi è una grandissima differenza tra i due, in questo: che i sogni non sono mai congiunti dalla memoria a tutte le altre azioni della vita, come quelle azioni che accadono a chi è desto. (LL 38)Ma quando mi si presentano quelle cose che capisco distintamente donde, dove e quando mi capitano, ed unisco la loro percezione con tutto il resto della mia vita senza nessuna interruzione, sono assolutamente certo che non mi si presentano nel sogno, ma quando sono sveglio. Della loro verità non devo dubitare anche minimamente, se dopo che ho richiamato tutti i sensi, la memoria e l’intelletto per esaminarle, da nessuno di essi mi viene segnalato qualcosa che contrasti con gli altri. Dal fatto che Dio non è fallace, ne consegue assolutamente che in tali cose non m’inganno. Ma poiché la necessità di agire non sempre lascia il tempo di un esame tanto accurato, bisogna ammettere che la vita umana riguardo alle cose particolari spesso è esposta agli errori, e bisogna riconoscere la debolezza della nostra natura. (LL 39)
cosa o sostanza pensante.
chiari e distinti
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