Il ghiaccio, la fetta di limone, la condensa sul bicchiere. Finalmente aveva placato la sete. Fino a un momento prima temeva di non farcela, ma non era certo al limite. Solo che la sete era la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Il vaso dell’incazzatura. Si sentiva stanco, a pezzi: aveva camminato tutto il giorno, avanti e indietro per il barrio vecchio mostrando la fotografia a tutti. Qualcuno lo evitava, anche se il suo aspetto non era quello di un accattone. Entrava nei negozi, nei ristoranti, e chiedeva, mostrando la foto. Si fermava a parlare con le donne che chiacchieravano davanti alla porta. Erano sempre molto gentili e partecipi, gli facevano un sacco di domande; lui capiva ma parlava un pessimo spagnolo. Aveva interrogato anche una comitiva di cinesi.
Nessuno l’aveva vista. Era disperato, e la disperazione unita al caldo lo aveva fatto barcollare. Si era lasciato quasi cadere sulla sedia, mentre tutto gli girava attorno.
– Si sente bene?
– Certo. Mi porti dell’acqua minerale, per favore?
Ci volle un po’ prima che che tutti i pezzi dell’immagine andassero al loro posto. Il cameriere tornò con l’acqua ed una faccia preoccupata.
Prese il bicchiere e tenendolo con entrambe le mani cominciò a berne lentamente un lungo sorso.
– Ora è ok, Tutto bene.
Fece un bel sorriso rassicurante e il cameriere, giovane con tanti orecchini e pochi capelli, se ne andò contento di non dover fare la crocerossina.
Sentiva già l’effetto dell’acqua fredda che scendeva nello stomaco. Riempì di nuovo il bicchiere versando dalla bottiglia di plastica. Anche il rumore dell’acqua lo dissetava.
Si toccò la fronte. Era più fresca. E la testa più leggera. Forse troppo: vedeva di nuovo i colori, ma anche due pesci rossi nel bicchiere. Pensò che riposarsi qualche minuto era indispensabile prima di continuare la ricerca.
Il tavolino a cui era seduto stava proprio di fronte alla Cattedrale. Una piccola piazza chiusa al traffico, con i bar all’aperto, e tanta gente che passa, circondata da palazzi un po’ trascurati.
C’era uno striscione di stoffa appeso al palazzo d’angolo, con la scritta “casa occupata”. Appeso da un balcone all’altro. Ed è lì, sull’altro balcone, che la vede. Appoggiata al davanzale con le mani. Indossa un vestito verde, stretto in vita. Ha le braccia e le spalle nude. Vede anche le gambe, forti e abbronzate.
Sono passati venti anni, pensa, eppure è la stessa di allora. Lo stesso modo di atteggiarsi, di muoversi, di toccarsi i capelli. Vorrebbe sentire la sua voce. Ma non riesce a chiamarla. Vorrebbe alzarsi e andare al centro della piazza, sotto gli occhi di lei, e aprire le braccia, agitarle, gridare il suo nome. Ma non riesce ad alzarsi. Non riesce. La vede allontanarsi, in una strana nebbia. Non è la stagione, pensa, per la nebbia. Sente solo delle voci, sempre più lontane.