Capitalismo, robot e futuro

Il capitalismo dei robot di John Lanchester

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video dell’istallazione di Wolf Vostell.

“Non fanno cose straordinarie, ma sono inesorabili, e sono lì per restarci: il loro lavoro non sarà mai più svolto da un essere umano.”

“Se l’economia è una scienza, le lezioni della storia “fanno già parte dell’equazione”, sono incorporate nei modelli matematici. Non credo sia una sciocchezza dire che la riluttanza a imparare dalla storia è uno dei motivi per cui l’economia non riesce a prevedere il futuro.

“In altre parole la produttività ha goduto dei veri benefici della rivoluzione informatica qualche decina di anni fa. Ora abbiamo più gadget divertenti, ma per la maggior parte si limitano a intrattenerci e a distrarci. Non contribuiscono alla produttività e potrebbero anche ridurla. La lampadina elettrica ha cambiato il mondo, Facebook è solo un modo per permettere alle persone di cliccare “mi piace” sotto foto di gatti che somigliano al colonnello Gheddafi. Da questo punto di vista la legge di Moore ha provocato soprattutto un’esplosione di attività digitale inutile. Un cambiamento importante sarebbe riuscire a potenziare di dieci o cento volte le batterie, ma questo richiederebbe un progresso della chimica molto più difficile di quello che permette di infilare più circuiti in un processore.”

“La conclusione di Frey e Osborne è brutale. Nel giro di una ventina d’anni il 47 per cento dei posti di lavoro rientrerà nella “categoria ad alto rischio”, cioè sarà potenzialmente automatizzabile. La cosa interessante, anche se non particolarmente confortante, è che i più a rischio sono i lavori meno pagati. Negli ultimi decenni il mercato del lavoro si è polarizzato, ci sono sempre più posti nella fascia superiore e inferiore della distribuzione salariale e meno in quella intermedia. “Invece di ridurre i posti di lavoro di livello medio, com’è successo negli ultimi decenni, il nostro modello prevede che in futuro la computerizzazione sostituirà soprattutto i lavori meno specializzati e a basso salario. Quelli più specializzati e ad alto salario, invece, rischiano meno di sparire”. Quindi i poveri saranno i più colpiti, la classe media se la caverà leggermente meglio di ora e i ricchi – sorpresa, sorpresa – non avranno problemi.”

“In questo mondo del futuro, inoltre, la produttività aumenterà notevolmente. La produttività è calcolata in base a quanto produce un lavoratore in un’ora. È il dato più importante per capire se un paese sta diventando più ricco o più povero. Spesso si guarda di più al pil (la ricchezza prodotta sul territorio nazionale), ma può essere fuorviante, perché basta un aumento della popolazione per far crescere il pil. Però se aumenta solo la popolazione, si può avere una crescita del pil e allo stesso tempo un abbassamento del tenore di vita. Per questo la produttività è un metro più preciso per misurare l’andamento degli standard di vita.”

“È diicile immaginare che l’azienda abbia venduto 34mila iPhone all’ora per tre mesi. Ma dovremmo anche rilettere sulle implicazioni di questo dato. Se i profitti crescono a questo ritmo per tutto l’anno, in dodici mesi potrebbero raggiungere quota 88,9 miliardi di euro. Nel 1960 l’azienda più redditizia della principale economia mondiale era la General Motors. Fatte le debite proporzioni, quell’anno la casa automobilistica statunitense avrebbe guadagnato 7,6 miliardi di dollari. Ma la General Motors dava lavoro a 600mila persone, mentre l’azienda più redditizia di oggi ne impiega solo 92.600. Se allora 600mila dipendenti generavano 7,6 miliardi di profitti e ora 92.600 ne generano 88,9, significa che la redditività per dipendente è aumentata di 76,65 volte. Il capitale non sta semplicemente trionfando sul lavoro, oggi non c’è proprio storia. Se fosse un incontro di boxe, l’arbitro lo interromperebbe.”

“Probabilmente sarebbe un mondo con un livello di deflazione molto alto. Se i posti di lavoro scompaiono, la maggior parte delle persone ha meno soldi in tasca, e quando questo succede, i prezzi scendono. Non sarebbe esattamente il tipo di deflazione che stiamo cominciando a vedere oggi nel mondo sviluppato: in questo caso la deflazione è legata al crollo del prezzo del petrolio combinato con la stagnazione delle economie e la perdita di fiducia dei consumatori. Ma le due deflazioni potrebbero sovrapporsi.”

“Ma la perdita del 47 per cento dei posti di lavoro in vent’anni (come prevedono Frey e Osborne) dev’essere al limite di quello che una società può sopportare, non tanto per il 47 per cento, quanto per l’arco di tempo. È successo molte volte che i posti di lavoro diminuissero. Ma che scompaiano con questa velocità è una cosa nuova, e la ricerca di precedenti storici non ci porta molto lontano. Cosa produrrà questa perdita così rapida dei posti di lavoro combinata con la deflazione? La verità è che non lo sa nessuno. In mancanza di un modello o di un precedente, l’idea che il processo economico proceda come un carro armato senza incontrare l’opposizione di nessuna forza sociale o politica è azzardata. I robot ruberanno tutti i posti di lavoro solo se noi glielo permetteremo.”

“Questo futuro alternativo sarebbe il mondo sognato da William Morris, pieno di esseri umani impegnati in attività gratificanti e ragionevolmente remunerate. Solo con l’aggiunta dei robot. Il fatto di avere davanti un futuro che potrebbe somigliare a una distopia ipercapitalistica o a un paradiso socialista, e che nessuno parli della seconda possibilità, la dice lunga sul momento che stiamo vivendo.”


La manodopera robot è il futuro del capitalismoNY-_3561, di Jordan Pearson,
September 4, 2014

“Il futuro del lavoro nell’era dei robot è una questione tutta interna al capitalismo.”

“Secondo Marx l’automatizzazione per cui il lavoratore viene sostituito dalla macchina, che può far produrre più merce in meno tempo è uno dei capisaldi del capitalismo. Sviluppando il capitale fisso (le macchine) i padroni possono fare a meno del capitale variabile (i lavoratori) che richiedono cose fastidiose come i salari e ritmi di lavoro ridotti. Scrive così:

L’aumento della forza di lavoro produttiva, e probabilmente la più grande negazione del lavoro necessario, è la necessaria tendenza del capitale, come abbiamo visto. La trasformazione del significato del lavoro in macchinari è la realizzazione di questa tendenza.

Da questa prospettiva i lavoratori robot sono razionalmente il punto di arrivo dell’automatizzazione che si sviluppa nell’economia capitalista. La questione di cosa succeda ai lavoratori che vengono sostituiti dalle macchine è di grande interesse perché rivela una grande contraddizione interna al capitalismo, secondo Marx:

Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro a un minimo, mentre, d’altro lato, pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza.”

“Una volta che le forze produttive sono nelle mani dei robot le persone si ritrovano ad avere più tempo libero, il che “avrà un impatto sui benefici di un lavoro emancipato, ed è esso stesso la condizione della sua emancipazione,” scrive Marx. Gli uomini, liberi finalmente dalle catene dell’alienante lavoro capitalista, svilupperanno nuovi significati della riflessione in campo sociale e una cooperazione nuova irrealizzabile nell’ambito dell’economia capitalistica. In breve, Marx afferma che l’automatizzazione portrerebbe alla conclusione dell’era capitalista.”

“In un periodo in cui tutti noi ci interroghiamo sul futuro, una possibilità in particolare non viene mai considerata: quella di un futuro senza capitalismo. Di un lavoro senza capitalismo, di un tempo libero senza capitalismo e sì, anche di robot senza capitalismo. Forse solo allora potremo gettare le basi per un mondo in cui la tecnologia sia al servizio di tutti e non solo di pochi privilegiati.”