“Il linguaggio sembra essere primariamente uno strumento di pensiero”
“Non ci sono motivi per credere che il linguaggio si sia evoluto come un sistema di comunicazione. Una supposizione ragionevole, oggi, è che all’interno dell’arco di tempo conosciuto dai fatti a disposizione, una piccola ricablatura del cervello abbia modificato la proprietà di base, la proprietà che specifica la produzione del linguaggio come sistema generativo finito, con delle espressioni che sono libere da confini che forniscono informazioni all’interfaccia semantico, e in secondo luogo come aspetto dell’esternalizzazione …”
Trascrizione di alcuni brani dalla traduzione in contemporanea, conferenza di Noam Chomsky teletrasmessa al Meeting di Rimini 2015, con introduzione di Andrea Moro.
(…)
… mezzi finiti possono generare infinite espressioni. E questo apri la strada alla ricerca di quello che potremmo considerare essere la proprietà di base del linguaggio umano: una procedura generativa finita, rappresentata nel cervello, che produce una infinità di espressioni strutturate gerarchicamente, ciascuna delle quali ha suono e significato. (43:04)
In termini tecnici ciascuna espressione generata internamente ha una interpretazione determinata su due interfacce: l’interfaccia articolatoria per l’esternalizzazione in una o altra modalità sensoriale, di solito anche se non necessariamente, la parola; e poi l’interfaccia semantica per la riflessione, l’interpretazione, l’inferenza e altri atti mentali. (43:37)
È importante riconoscere che l’uso infinito di questi mezzi finiti, la produzione concreta di parole, in maniera libera e creativa, che ha affascinato grandi personaggi del passato, resta ancora un mistero. E questo è vero non solo per l’uso del linguaggio, ma anche per l’azione volontaria in generale.
Il mistero è descritto graficamente da due degli scienziati più importanti che hanno studiato il moto volontario: Emilio Vizzi e Robert Ageman??.(44:34) Nel passare in rassegna lo stato dell’arte oggi, loro scrivono che abbiamo alcune idee su come è la progettazione complessa della marionetta e dei fili della marionetta, ma non sappiamo nulla di quello che succede nella mente del burattinaio. (44:50)
E questo non è un problema di poco conto. Sta proprio al confine della ricerca scientifica fattibile, o va addirittura oltre, in un dominio in cui l’intelligenza umana non può farsi strada. E se siamo disposti ad accettare il fatto che siamo creature organiche, non angeli (45:15), saremo d’accordo con i principali pensatori del passato, nel riconoscere che alcuni problemi potrebbero essere dei misteri permanenti per noi. Saremmo d’accordo, quindi, con Cartesio, Newton, Locke, Hume e altri pensatori.
Vale la pena, quindi, penso meditare su questi interessi che si presentarono in un modo drammatico nei momenti classici all’inizio delle scienze dell’età moderna.
Il principio di base della rivoluzione galileiana era chiamato “filosofia meccanica“, secondo cui il mondo è una macchina, una versione complessa degli strumenti intricati che erano allora prodotti da artigiani capaci, che avevano catturato l’immaginazione scientifica tanto quanto i computer di oggi.
Galileo insisteva che le teorie scientifiche erano accettabili solo se si potevano riprodurre i loro presupposti attraverso degli strumenti artificiali adeguati. Un’idea che era anche sostenuta da Descartes, Leibniz, Newton e altri. (46:43)
Cartesio credeva di aver presentato gli schemi generali di una teoria meccanica del mondo; per quanto avesse anche trovato una eccezione fondamentale al suo sistema: la capacità di linguaggio umano: l’abilità di ogni essere umano, ma non degli animali o delle macchine, di capire e di utilizzare un numero infinito di espressioni linguistiche in un modo che era adeguato alle circostanze ma non provocato da queste. Di nuovo una distinzione cruciale. Nei termini usati più tardi da Cartesio il parlante potrebbe essere spronato o spinto dalle circostanze ma non costretto dalle circostanze.
Uno dei risultati più grandi di Newton fu quello di minare la conclusione. Newton confutava la filosofia meccanica. Mostrò che il mondo non è una macchina. Per spiegare il moto Newton fu costretto a introdurre un concetto incomprensibile, quello dell’azione a distanza. E fu condannato da scienziati illustri per essere ritornato alle cosiddette qualità occulte degli scolastici. Newton era d’accordo che il concetto alla base della sua spiegazione era una assurdità e che nessun scienziato serio poteva accettarlo. Ha cercato per il resto della sua vita di superare tale assurdità senza riuscirci, come hanno fatto anche i suoi successori. (48:23)
L’unica conclusione razionale fu che la nostra comprensione del mondo deve essere inevitabilmente insufficiente rispetto ai criteri di intelligibilità stabiliti dai fondatori della scienza moderna.
Poiché il mondo è effettivamente incomprensibile a noi, la scienza deve cercare di porsi degli obiettivi più modesti, costruire delle teorie valide del mondo. E questo è stato a mio avviso un momento molto significativo nella storia intellettuale, molto più di quanto spesso si riconosca. (49:03)
Tuttavia era stato riconosciuto da grandi pensatori di quel periodo. David Hume attribuiva a Newton l’ingegno più grande e più raro che era apparso per …, mentre pareva aver svelato alcuni misteri della natura, aveva mostrato nello stesso tempo le imperfezioni della filosofia meccanica.
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(50:01:05) Locke, adottando un quadro teologico standard concluse che così come Dio attribuiva alla Materia delle proprietà inconcepibili, come l’attrazione gravitazionale, poteva anche aver attribuito ulteriormente alla materia la capacità di pensiero.
Sostituire Dio con la Natura apre un argomento di studio, un percorso che è stato affrontato ampiamente nel XVIII secolo. Che ha portato alla conclusione che il pensiero è una proprietà di certe forme di materia organizzata. (50:50)
Dato che Darwin aveva riaffermato la comprensione comune, non c’è bisogno di considerare il pensiero, una secrezione del cervello, come più meravigliosa della gravità, una proprietà della materia. È qualcosa di incomprensibile per noi. Però questo non è tanto un fatto che riguarda il mondo esterno quanto le nostre limitazioni cognitive. La nostra capacità di capire.
(…)
forte limitazione cognitiva. La nostra incapacità di penetrare quelli che Hume aveva riconosciuto essere i segreti ultimi, che risiedono in quell’oscurità in cui si trovavano e dove rimarranno per sempre.
L’idea che ci dovessero essere dei limiti alla comprensione umana viene spesso oggi vista come un ritorno al misticismo, una eresia liquidata come misterianesimo. Un termine migliore di misterianesimo potrebbe essere truismo. Se facciamo parte del mondo biologico allora le nostre capacità avranno una certa portata, e la stessa natura intrinseca, che fornisce la portata, imporrà pure dei limiti. E questo è vero per qualsiasi capacità biologica.
Il vero misticismo sta nel credere che la nostra capacità di comprensione sia infinita. L’elenco dei seguaci del misterismo è pieno di nomi illustri e che ne avevano anche ragione. (52:50)
Tornando a Descartes il suo concetto di corpo crollò e con esso qualsiasi concetto chiaro materiale o fisico. Ma i suoi concetti di mente resistettero nella critica newtoniana; in particolare le sue osservazioni sull’uso creativo del linguaggio sembrano essere corrette. Per Cartesio e altri questa capacità umana era una manifestazione particolarmente chiara della proprietà generale della libertà di scelta. Quello che Cartesio chiamava la cosa più nobile che abbiamo, aggiungendo che non c’è nulla che capiamo in maniera più evidente, più perfetta. E sarebbe assurdo dubitare che c’è questa comprensione intima di questa esperienza semplicemente perché va in conflitto con qualcos’altro, che deve essere per sua natura incomprensibile a noi.
La posizione generale di Cartesio sembra ancora credibile oggi. Per ripetere la conclusione di Vizzi e di Ageman: nonostante i progressi nella comprensione del burattino e dei fili del burattino, il burattinaio resta ancora un mistero totale.
Tornando all’aforisma di Humbold: secondo cui il linguaggio comprende usi infiniti di mezzi finiti, è stato imparato molto riguardo ai mezzi ma l’uso creativo resta un mistero, e forse lo rimarrà per sempre. (54:35)
Gli studi dei mezzi finiti che sono usati nel comportamento linguistico, cioè il burattino e i fili, sono stati condotti con grande successo fin dalla metà del XX secolo, in quello che è stato chiamato l’impresa generativa, traendo anche dai contributi della rivoluzione cognitiva che si sono verificati in questo periodo.
I tipi di interrogativi su cui gli scienziati fanno ricerca oggi, non avrebbero potuto essere neanche formulati molti anni fa.
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L’impresa generativa considera il linguaggio come un sistema interno, un “modulo” della mente simile a un organo biologico.(56:04)
Ogni linguaggio, ogni lingua, soddisfa la proprietà di base del linguaggio umano che ho menzionato prima. I principi sottostanti le grammatiche di tutte le lingue di Jesperson sono l’argomento di quella che è chiamata la Grammatica Universale, adattando un termine tradizionale a un nuovo quadro; adesso interpretato come una teoria di proprietà genetica per la facoltà di linguaggio, cioè i fattori innati che determinano la classe di linguaggi possibili.
Ad oggi abbiamo notevoli evidenze che la GU è una proprietà della specie, uniforme tra gli esseri umani, ad eccezione dei casi con gravi patologie. E senza analogie strette con il resto del mondo animale.
Questa capacità sembra che sia emersa piuttosto recentemente nel tempo evolutivo. Probabilmente negli ultimi 100.000 anni. E possiamo essere abbastanza sicuri del fatto che non si sia evoluta perlomeno fino a quando i nostri antenati hanno cominciato a lasciare l’Africa 60.000 anni fa. Quindi se è così l’emergenza di una facoltà di linguaggio è stato qualcosa di improvviso nel tempo evolutivo, che ci porta a sospettare che la proprietà di base dovrebbe essere particolarmente semplice. Inoltre fino dal lavoro pionieristico di Eric Lenneberg degli anni cinquanta, si sono accumulate sempre più prove che la facoltà di linguaggio umano è dissociata da altre capacità cognitive, e anche questo suggerisce che qualcosa che è emerso così rapidamente dovrebbe essere molto semplice.
Gli approcci strutturalisti e comportamentali della prima metà del XX secolo hanno portato alla convinzione che il campo degli studi non stava affrontando problemi fondamentali. Vi erano metodi di analisi a disposizione che fornivano gli strumenti per ridurre un corpus di materiali a una forma organizzata. Sembrava che i problemi della fonologia, al centro della ricerca, fossero stati in larga parte capiti. E queste convinzioni avevano senso nel quadro generale prevalente, così come lo aveva il concetto ampiamente diffuso che le lingue possono differenziarsi l’una dall’altra senza limiti e in maniera imprevedibile. Così che lo studio di ogni lingua deve essere affrontato senza uno schema preesistente di quello che deve essere la lingua come vale per i linguisti strutturalisti.(59:12)
Queste convinzioni crollarono non appena i primi sforzi di costruzione della Grammatica Generativa furono profusi alla metà del XX secolo. Divenne subito chiaro che si sapeva pochissimo riguardo il linguaggio umano, anche per quelle lingue che erano state studiate molto. E fu anche chiaro che molte delle proprietà del linguaggio dovevano derivare in maniera sostanziale da una facoltà di linguaggio innata, in quanto erano acquisite con una scarsità o una assenza di evidenza. Quindi ci dovevano essere limiti forti, determinati, rispetto a quello che poteva essere una lingua. Inoltre molte delle proprietà che erano state scoperte con i primi sforzi per costruire le regole soddisfacevano il principio di base e ponevano degli enigmi; alcuni ancora vivi e probabilmente se ne presenteranno sempre di nuovi. (1:00:20)
All’inizio della impresa generativa sembrava necessario attribuire una grande complessità alla GU, al fine di cogliere i fenomeni empirici delle lingue. E tuttavia era chiaro che questo non poteva essere corretto: (…) fin dai primi giorni ci furono sforzi per ridurre questa presunta complessità della GU, estendendo la sua copertura empirica. E nel corso degli anni sono stati fatti passi significativi in questa direzione.
All’inizio degli anni novanta a un certo numero di ricercatori sembrava quasi possibile affrontare il problema in modo nuovo. Cioè costruendo una soluzione ideale, e chiedendo quanto ci si potesse avvicinare con una analisi attenta dei dati linguistici. Un approccio che è stato chiamato Programma minimalista. (1:01:36)
Le lingue sono dei sistemi computazionali e idealmente dovrebbero rispettare le condizioni del calcolo minimo. Il punto di partenza naturale in questa impresa è identificare l’operazione computazionale più semplice che possa soddisfare la proprietà di base. La scelta è chiara, ogni sistema computazionale è infinito e comprende in qualche modo un’operazione che seleziona due oggetti già costruiti e forma da essi un nuovo oggetto. Nel caso più semplice i due oggetti non sono modificati in questa operazione e non ci sono nuove proprietà che vengono introdotte, in particolare per quanto riguarda l’ordine. E questa operazione è chiamata “merger“, fusione in inglese, nella letteratura recente. (1:02:36)
Tralascerò gli aspetti tecnici, ma è facile vedere come la fusione può avere due risultati possibili, può formare delle espressioni come:
-leggere libri (tra i due elementi: leggere e libri)
e, cosa più interessante può formare espressioni come:
-quale libro leggeranno (dall’espressione: leggeranno quale libro)
Estraendo l’espressione “quale libro” e fondendola con l’altra espressione “leggeranno quale libro”. In maniera più precisa l’operazione produce “quale libro leggeranno quale libro”, con due copie dell’elemento fuso, cioè “quale libro”. E questo produce al contempo l’interpretazione semantica corretta: “quale è il libro tale che leggeranno quel libro”.
Le regole che esternalizzano, l’apparato articolatorio, aggiungono l’ordine lineare, la prosodia, le proprietà fonetiche dettagliate, e eliminano la seconda copia di “quale libro”, cosicché quello che viene prodotto effettivamente è “quale libro leggeranno”. (1:03:56)
È importante notare che in questa operazione si soddisfa il calcolo minimo e questo comprende l’operazione di cancellazione nell’esternalizzazione che riduce fortemente il carico computazionale e articolatorio.
In termini grafici, quello che raggiunge la mente ha la forma semantica corretta, ma quello che raggiunge l’orecchio ha delle lacune che devono essere colmate dall’ascoltatore.
Questi problemi di lacune da colmare pongono delle complicazioni significative per l’analisi logica, e grammaticale e la percezione. In tali casi la lingua è ben progettata per il pensiero ma pone delle difficoltà per l’uso del linguaggio. Una osservazione importante che di fatto è spesso considerata … si noti che quello che raggiunge la mente manca di ordine mentre quello che raggiunge l’orecchio è ordinato. (1:05:00)
L’ordine lineare pertanto non dovrebbe rientrare nella computazione sintattica, semantica interna, anzi viene imposto dalla esternalizzazione, presumibilmente come riflesso di proprietà dell’apparato articolatorio, che richiede la linearizzazione. Non possiamo parlare con strutture parallele o articolate. (1:05:28)
La proprietà generale del linguaggio, illustrata in questi casi, è che le regole linguistiche sono invariabilmente dipendenti dalla struttura. Dipendono dalla struttura e non dall’ordine.
Questo principio è così forte che laddove c’è un conflitto tra la proprietà semplice di calcolo della distanza lineare minima e la proprietà computazionale più complessa della distanza strutturale minima, quest’ultima, più difficile, è sempre selezionata. E questo è un fatto sorprendente che è stato osservato quando gli sforzi iniziali di costruire la Grammatica generativa furono profusi. (1:06:17)
La risposta deve stare nel fatto che il calcolo semplice non è disponibile al sistema che calcola l’interpretazione semantica. Per il bambino che acquisisce il linguaggio, la possibilità di usare il calcolo lineare semplice non si presenta mai. Deriva da due presupposti plausibili tutto questo: il primo è che il linguaggio è progettato perfettamente, e rispetta il principio del calcolo minimo e quindi usa una fusione non ordinata per il calcolo; e secondo l’esternalizzazione all’apparato articolatorio è ausiliaria, è una proprietà secondaria del linguaggio e riflette le proprietà del sistema di emissione che non hanno nulla a che vedere con il linguaggio. (1:07:10)
Questa tesi di progettazione perfetta è stata chiamata “tesi minimalista forte“. Non molti anni fa sarebbe sembrata così assurda che non sarebbe stata considerata. Ma in anni recenti, tuttavia, ci sono prove sempre maggiori che suggeriscono che potrebbe essere valida in maniera significativa. E se accettiamo questa tesi, subito abbiamo una spiegazione per tutta una serie di fenomeni piuttosto sbalorditivi. Uno di questi è l’ubiquità dello spostamento; cioè l’interpretazione di una espressione dove appare, e anche se sta in un’altra posizione in cui il suo ruolo semantico di base è determinato, come nel caso di prima: “quale libro leggeranno”. (1:08:04)
Questo fenomeno sempre pare richiedere dei meccanismi che sono un’imperfezione nella progettazione del linguaggio. E partendo dal presupposto della progettazione, ottima tuttavia, come abbiamo visto, lo spostamento dovrebbe essere la norma. E dovremmo essere bloccati da qualche convenzione arbitraria. Da qui la barriera contro lo spostamento sarebbe un’imperfezione. Oltre tutto questa tesi produce, al contempo, la Copy Theory, la teoria copia dello spostamento che fornisce una struttura appropriata per l’interpretazione dell’interfaccia semantica. E come abbiamo appena visto la stessa tesi propone una soluzione … dipendenza della struttura, un principio generale della progettazione del linguaggio. (1:09:13)
(…)
Ci sono prove sostanziali che l’esternalizzazione è il locus primario della complessità, della variabilità, e della mutabilità del linguaggio. Pertanto la padronanza della modalità specifica di esternalizzazione è il compito principale dell’acquisizione del linguaggio. La padronanza della fonetica, della fonologia del linguaggio, la sua morfologia e le sue idiosincrasie lessicali. (1:09:53)
Potremmo spingerci a considerare anche un’altra tesi ardita, ma non implausibile, cioè che la generazione dell’interfaccia semantica sia uniforme tra tutte le lingue, o quasi uniforme.
Difatti alternative realistiche non sono facili da immaginare, alla luce del fatto che i sistemi sono acquisiti sulla base di una scarsità o una assenza di prove. (…) Ci sono prove neurologiche e psicolinguistiche a sostegno di queste conclusioni. Le ricerce condotte a Milano un decennio fa, iniziate dal prof. Andrea Moro, hanno mostrato il sistema non-senso che segue i principi della grammatica universale, il principio della dipendenza dalla struttura. Queste provocano una attivazione normale in aree linguistiche del cervello. Ma sistemi più semplici che usano un ordine lineare vanno a violare la grammatica universale e producono una attivazione diffusa. E questo comporta che i soggetti stanno trattando come un puzzle, non come un linguaggio
(…)
(1:12:19) Queste conclusioni, riguardo all’architettura del linguaggio, minano la dottrina convenzionale contemporanea, secondo cui il linguaggio è primariamente un sistema di comunicazione che si è evoluto da un sistema di comunicazione animale più semplice.
Se, come ci indicano le evidenze, le prove, addirittura, l’esternalizzazione è una proprietà ausiliaria del linguaggio. Allora gli usi specifici del linguaggio esternalizzato, come nella comunicazione, sono un fenomeno ancora più periferico. E questa conclusione è sostenuta da altre evidenze. (1:13:00)
Il linguaggio sembra essere primariamente uno strumento di pensiero (1:13:05) E questo è molto in linea con lo spirito della tradizione. Non ci sono motivi per credere che si sia evoluto come un sistema di comunicazione. Una supposizione ragionevole oggi, è che all’interno dell’arco di tempo conosciuto, dai fatti a disposizione, una piccola ricablatura del cervello abbia modificato la proprietà di base, la proprietà che specifica la produzione del linguaggio, come sistema generativo finito, con delle espressioni che sono libere da confini, che forniscono informazioni all’interfaccia semantica, e solo in secondo luogo come aspetto dell’esternalizzazione. (1:14:00)
(…)
Ma nell’assenza di una pressione esterna la proprietà di base dovrebbe essere ottimale, come determinata dalle leggi di natura, come succede con un fiocco di neve che assume la sua forma così complicata. (1:14:28) La mutazione potrebbe proliferare a generazioni in espansione numerica, e forse, anzi, anche dominando un piccolo gruppo in espansione numerica.
A quel punto l’esternalizzazione potrebbe essere preziosa. Il compito sarebbe quello di mappare i prodotti del sistema, progettato internamente in maniera ottimale, verso l’apparto articolatorio che è stato presente per centinaia di migliaia di anni. E quella mappatura pone dei problemi cognitivi importanti, che possono essere risolti in molti modi, ciascuno dei quali è complesso e mutevole. Per svolgere questi compiti ci potrebbero volere pochi cambiamenti evolutivi o nessun cambiamento. (1:15:27)
Il compito primario della ricerca linguistica è quello di colmare le grandi lacune di questo quadro, e cioè mostrare che la vasta gamma di fenomeni dei linguaggi accessibili umanamente, possono essere spiegati in maniera adeguata in questi termini che abbiamo visto.
Rimanendo nel dominio del mistero, al momento o forse per sempre, è l’origine degli atomi del calcolo, concetto che è stato usato nella teoria del calcolo, che sono molto specifici per gli esseri umani e anche per la natura del burattinaio, cioè l’aspetto creativo dell’uso del linguaggio, che era la preoccupazione principale della lunga e ricca tradizione, che è stata rivitalizzata in forma nuova nell’impresa generativa e biolinguistica.(1:16:24)
Per aggiungere una nota finale, personale, quando studiavo, negli anni quaranta, era l’apice del periodo strutturalista e comportamentale, era come se i principali problemi dello studio del linguaggio fossero stati in larga misura risolti, e che l’impresa per quanto stimolante stesse giungendo al termine che si poteva ormai percepire piuttosto bene.
Ma il quadro oggi non potrebbe essere più diverso e anche più entusiasmante. Non da meno, per via dei misteri che permangono oltre e che magari permarranno per sempre. (1:17:09) Grazie
Altre fonti sull’argomento
Intervista a: Chomsky: ecco il salto dell’uomo nel linguaggio (Avvenire)