Il piccione è Carlo Rovelli. Le due fave sono i due articoli pubblicati nello stesso giorno. Il Sole24ore ripubblica un articolo del 2014, diventato il primo capitolo di “Sette brevi lezioni di fisica”. L’articolo-capitolo è inserito in una pagina dedicata alla formula dei “best-seller: formula che non c’è. E Carlo Rovelli è finito lì, tra i best-seller, proprio per dimostrare che una formula non c’è. E loro, i redattori dell’inserto del Sole24Ore sono stati solo fortunati! Eppure di ragioni ce ne sono: è breve (come dice il titolo), relativamente semplice, ci sono piccole storie di grandi personaggi, idee, visioni fantastiche, molti misteri, forti emozioni ( di “un mondo complesso e bellissimo”), ma tanta fiducia nell’uomo, con un tono raramente polemico e sempre disponibile all’incanto. Semplice? No! C’è anche il contesto mediatico, per esempio.
Il Corriere pubblica, nell’inserto, un articolo che riprende una ricerca precedente di Rovelli: Aristotle’s Physics: a Physicist’s Look, agosto 2014. Il titolo del Corriere “Aristotele che fisico” vuole essere “spiritoso” (come “Un piccione e due fave” sic!), ma il sottotitolo almeno dice qualcosa.
E Aristotele? Assolto da ogni critica che lo vedrebbe escluso dai risultati della fisica moderna. Vi è continuità nella scienza: procede per gradini verso una maggiore approssimazione nella conoscenza delle cose e degli eventi. Ogni teoria contiene elementi delle teorie precedenti e ogni scienziato fa riferimento alle idee di altri scienziati. Cambia il sistema di riferimento da cui si osserva e misura. Il suo metodo? Gran parte della fisica di Aristotele si basa sull’osservazione e sulla deduzione. Ma vi sono molti aspetti non-intuitivi, anzi: «Aristotle’s physics is not intuitive at all. It is a complex and tight conceptual scheme» che ha fatto da stimolo alle successive teorie. Una lacuna importante nella fisica aristotelica è l’uso marginale della matematica (differenza con Platone).
Alcune frasi da “Aristotele che fisico! Le sue teorie scientifiche godono di cattiva fama. Ma a torto: furono la base dei successivi progressi. Articolo di Carlo Rovelli (Corriere 18.10.15)
“Popper e Kuhn hanno avuto il merito di mettere a fuoco questo aspetto evolutivo della scienza e l’importanza delle fratture, ma la loro influenza ha portato a una assurda negazione degli ovvi aspetti cumulativi del sapere. Peggio, a non voler vedere le chiarissime relazioni logiche e storiche fra teorie prima e dopo ogni passo avanti: la fisica di Newton è perfettamente riconoscibile come approssimazione della relatività generale di Einstein; la teoria di Aristotele è perfettamente riconoscibile come approssimazione all’interno della teoria di Newton.”
Per esempio, la grande idea di distinguere il movimento «naturale» di un corpo da quello «forzato», sopravvive intatta nella fisica newtoniana, e poi in quella di Einstein. Cambia il ruolo della gravità: causa di moto forzato in Newton (dove il moto naturale è rettilineo uniforme), parte del moto naturale in Aristotele, e, curiosamente, di nuovo in Einstein (dove il moto naturale, chiamato «geodetico», torna ad essere quello di un oggetto in caduta libera, come per Aristotele).
Gli scienziati non avanzano né per solo accumulo, né per rivoluzioni totali, in cui tutto è buttato e si ricomincia da zero. Avanzano piuttosto, come in una bella analogia di Otto Neurath spesso citata da Willard Van Orman Quine, «come marinai in mare aperto che devono ricostruire la loro barca, ma non possono farlo da zero: dove tolgono una trave devono subito rimpiazzarla (…), in questo modo, pezzo a pezzo avanza la ricostruzione».
Galileo non ha costruito la sua nuova fisica ribellandosi a un dogma o dimenticando Aristotele. Al contrario, ha saputo modificare aspetti della cattedrale concettuale aristotelica, imparando a fondo da Aristotele: non c’è incommensurabilità fra lui e Aristotele, c’è serrato dialogo. Credo che sia lo stesso fra le culture, le persone, i popoli.”
Torniamo allora ai corpi che cadono nell’aria o nell’acqua, e vediamo cosa effettivamente succede. La caduta non è né a velocità costante e dipendente dal peso, come voleva Aristotele, né ad accelerazione costante e indipendente dal peso, come voleva Galileo (neanche se trascuriamo l’attrito!). Quando un corpo cade, attraversa una prima fase in cui accelera, per poi stabilizzarsi a velocità costante, maggiore per i corpi pesanti. Questa seconda fase è ben descritta da Aristotele. La prima fase invece è di solito molto breve, difficile da osservare, e per questo è sfuggita ad Aristotele.
Per studiare questa fase iniziale, difficile da osservare perché tutto avviene in fretta, Galileo scova uno stratagemma geniale. Invece di osservare corpi che cadono, osserva palle che rotolano lungo una lieve pendenza. La sua intuizione, difficile da giustificare al suo tempo ma corretta, è che la «caduta rallentata» delle palle che rotolano riproduca il moto di oggetti che cadono liberi. In questo modo, Galileo riesce a notare che all’inizio della caduta è l’accelerazione ad essere costante, non la velocità. Forte di questa nuova capacità di interrogare la natura, e di una padronanza della matematica che mancava ad Aristotele, Galileo è riuscito a stanare il dettaglio quasi impercettibile ai nostri sensi dove la fisica di Aristotele funziona male.
Approfondimento: Aristotle’s Physics: a Physicist’s Look, agosto 2014, di Carlo Rovelli
“I focus here on the parts of the theory that are comparable to Newtonian physics, and which form the basis of the Aristotelian theory of local movement (φορα). The theory is as follows. There are two kind of motions
(a) Violent motion, or unnatural [Ph 254b10],
(b) Natural motion [He 300a20].
Violent motion is multiform and is caused by some accidental external agent. For instance a stone is moving towards the sky because I have thrown it. My throwing is the cause of the violent motion. Natural motion is the motion of objects left to themselves. Violent motion is of finite duration. That is:
(c) Once the effect of the agent causing a violent motion is exhausted, the violent motion ceases.
…
One can still recognize old Aristotle’s vessel, after quite many repairs and improvements, in the conceptual structure of modern theoretical physics. The Newtonian distinction between inertial motion and motion due to a force, or the modern physics distinction between the kinetic and the interaction terms in the action still are direct traces of the Aristotelian distinction between natural and violent motion.
…
Aristotle was able to construct a powerful account of physics which is the ground on which later physics has built. When Galileo realized that the missing ingredients were the notion of acceleration and the use of formulas, opening the way to Newton, Galileo’s interlocutor was Aristotle. Not because Aristotle was the stupid dogma against which intelligence should rise. But because Aristotle was the best of the intelligence of the world that thirty centuries of civilization had so far produced in this field.
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Galileo himself, from which so much of the present attitude against Aristotle’s physics derives, recognizes the value of the theory of his opponent: he repeatedly opines that Aristotle was enough of an empiricist to modify his view in the light of the new experimental evidence.
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“Virtually everything of Aristotle’s theory of motion is still valid”. It is valid in the same sense in which Newton’s theory is still valid: it is correct in its domain of validity, profoundly innovative, immensely influential and has introduced structures of thinking on which we are still building.
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Aristotle himself points out the differences between his theory and intuition [He 307b25]. In facts, there are many nonintuitive aspects in Aristotelian physics. The distinction between absolute and relative notions of light and heavy; the idea that the large variety of the things of the word could be accounted for in terms of four elementary substances; the idea that upwards or downwards natural motion stops when the body reaches its natural place; the distinction between natural motion and violent motion, a distinction which, even today, I find hard to understand, in spite of the fact that it remains in Newtonian physics.
…
At the time of Aristotle there were competing physical schemes, such as those of the atomists, Plato’s Timaeus, Empedocles, and I am not aware of any ancient writer that states that the physics of Aristotle is more intuitive than those. Aristotle goes to great length in criticizing these alternative ideas, using highly non-intuitive arguments. Aristotle’s physics is not intuitive at all. It is a complex and tight conceptual scheme.
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It was not a dogmatic view of Aristotle’s theory that kept it alive: it was the difficulty to find something better. In a similar way, Newton theory did not remain the fundamental paradigm for three centuries because it was a dogma, but because it was difficult to find something better. The reason Aristotelian physics lasted so long is not because it became dogma: it is because it is a very good theory.
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Advanced theories build heavily on past theories, rebuilding continuously on their conceptual structure and rear- ranging continuously this conceptual structure.”
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Articoli online di Carlo rovelli
– La realtà è tutta interazione, Il Sole 24 Ore Domenica 2 settembre 2012
– Sì, no, anzi: probabilmente, Il Sole 24 ore – Domenica 20 gennaio 2013
– Il Rinascimento di Galileo, Il Sole 24 Ore – Domenica 22 dicembre 2013
– L’America scoperta dagli antichi, Il Sole 24Ore – Domenica 30 giugno 2013
La filosofia che chiarisce la fisica, Il Sole 24 Ore – Domenica 16-06-2013