Fantastic Machine, 2023, di Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck,
Dalla prima lastra fotografica del 1839 ai video virali sui social network, il documentario attraversa la storia tecnica, culturale e sociale dell’immagine fissa e in movimento. Da forma di comunicazione e rappresentazione si è sviluppata tecnologicamente sino a occupare completamente l’immaginario individuale e collettivo. Il documentario mostra la fragilità del rapporto fra immagine tecnica e realtà, mostra tutta la relatività dell’interpretazione e svela la manipolazione che sin dagli inizi ne ha fatto uno strumento per ingannare i sensi e le convinzioni. Non è un documentario politico; è critico ma non si parla mai dei diritti e delle leggi che regolano il mondo delle immagini. È critico ma in trasparenza con qualche punta che fa rabbrividire per il cinismo e la strumentalizzazione con cui si usano le immagini. È un documentario buonista che ci dice soltanto quanto è cattivo il mondo. Niente che non sapevo già.
Si sottolinea il ruolo dei pubblicitari che le pensano tutte per entrare nel cervello della gente. Si tratta di catturare l’attenzione e mantenerla il più a lungo possibile.
Manipolare le persone con false informazioni, o false idee e comportamenti è facile perché imitare gli altri è istintivo, dice.
In Papua Nuova Guinea, anno 1969, un uomo osserva la propria immagine e ascolta la propria voce per la prima volta. Sembra perplesso. Niente di più.
Il primo video virale è del 2008: una donna nera che canta ballando su un tavolo rotondo, cade e migliaia di persone lo guardano e ridono. Niente di nuovo.
Una giovane blogger che fa video soft-porno racconta di aver guadagnato due milioni di dollari con un solo video e ora vorrebbe regalarne uno ma i suoi produttori la ostacolano. Miracolo.
Ogni giorno si pubblicano 300 milioni di immagini. Tra breve vi saranno nel mondo 45 miliardi di videocamere.
Una recensione letta non ricordo dove concludeva chiedendosi. A chi è rivolto questo film?
Già a che si rivolge!