Chomsky, intervista

Intervista a Noam Chomsky realizzata da Andrea Moro, settembre 2020

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Jeoshua Bar-Hillel disse che “negli anni cinquanta c’era la convinzione che con le nuove conoscenza di cibernetica e con le recenti tecniche della teoria dell’informazione si era vicino a una comprensione completa della complessità della comunicazione nell’animale e nella macchina.”

Quell’euforia era fuori luogo. Per capire cosa accadde bisogna ricordare il contesto socio-culturale degli Usa in quegli anni. “Gli Stati Uniti erano intellettualmente arretrati.”

Per studiare dovevi andare all’estero: fisica in Germania, filosofia in Inghilterra, scrittura in Francia: “Gli sti uniti erano un po’ come una piccola città di periferia.”

“La guerra ha cambiato tutto questo. Gli Stati Uniti hanno guadagnato moltissimo dalla guerra.” Produzione industriale e conoscenze scientifiche.

La teoria dell’informazione di Shannon  e la cibernetica di Norbert Wiener, sviluppate durante la guerra, sembravano aprire una nuova era nella comprensione del funzionamento della mente.

Ma è allo stesso modo costruito sulla sabbia, crollerà tutto.

Lo studio della mente aveva nuovi strumenti scientifici. “C’era molto entusiasmo. Devo dire che oggi è abbastanza simile. Intelligenza artificiale e deep Learning sembrano risolvere tutti i problemi. Ma è un entusiasmo costruito sulla sabbia, crollerà tutto perché non stanno ottenendo risultati.”

Negli anni cinquanta c’era un’altra fonte di entusiasmo per gli studenti: la linguistica strutturale che in Us aveva come rappresentante Jakobson (venuto dall’Europa).  

Due posizioni: da una parte chi pensava che avremmo scoperto tutto e dall’altra che eravamo diretti verso nuovi mondi. “Tutto è andato in pezzi. Nessuna delle due posizioni era giusta. La posizione strutturalista non ha retto.” (8:54)

Da quel fallimento è nata l’esistenza di costruire una teoria esplicativa: la grammatica generativa.

Lenneberg e il fondamento biologico del linguaggio

Skinner rimase a lungo sconosciuto fino al 1959. Poi nel 1968 arriva Lenneberg con i suoi studi sull’evoluzione del linguaggio e sui casi di disabilità linguistica.

Negli anni cinquanta ai sordi si insegnava solo la lettura labiale, ed era severamente sconsigliato il linguaggio dei segni.

Nel 2003, a Milano vennero condotti esperimenti che sono stati i primi e gli unici fino a oggi. Hanno portato alla scoperta di una caratteristica molto curiosa del linguaggio: la dipendenza dalla struttura. I bambini di due anni quando applicano regole linguistiche per interpretare e creare le frasi, ignorano il 100% di quello che ascoltano. Prestano attenzione solo a qualcosa che non hanno mai sentito. Ignorano l’ordine lineare delle parole. Prestano attenzione solo alle strutture che stanno creando nella loro mente e che non si possono mai sentire. È qualcosa che la mente crea automaticamente sulla base di un ordine lineare

Moro: abbiamo scoperto che la rete del linguaggio nel cervello è attivata dalle regole che si basano sulla gerarchia come le regole linguistiche. Le altre regole sono trattate dal cervello come enigmi logici, che è una cosa diversa. Tutti questi esperimenti sono venuti fuori dai tuoi primi lavori degli anni cinquanta.

Galileo non ha mai condotto la maggior parte dei suoi esperimenti. Se li avesse fatti non avrebbero funzionato perché aveva strumenti troppo primitivi. Lavorava attraverso esperimenti mentali. Al tempo di Galileo abili artigiani costruivano macchine incredibili, il meccanicismo – il mondo è una macchina complessa – era una convinzione diffusa anche se ingannevole.

Questione aperta da affrontare oggi: la mia ipotesi è che sia il nostro intuito, la nostra comprensione del mondo ad essere intuitiva e innata. C’era questo famoso esperimento che risale agli anni quaranta: se si presentano a un bambino due sbarre che non si toccano e quando una si muove, si muove anche l’altra, il bambino capirà automaticamente che c’è un rapporto nascosto tra loro. In generale la mente crea una sorta di spiegazione meccanica per qualsiasi cosa stia succedendo, intuitivamente. E sospetto che la ricerca potrebbe dimostrare che il meccanismo, come veniva chiamato, sia il nostro senso intuitivo del mondo, rafforzato da ciò che stava accadendo con la produzione di artefatti complessi. All’epoca la scienza era la filosofia, era una scienza meccanicistica. Cartesio pensava che il mondo fosse davvero una macchina.

Cartesio, Galileo e altri sono convinti che escluso il pensiero e il linguaggio, il resto del mondo è una macchina. Poi arriva Newton . Era colpito dalla teoria dei vortici di Cartesio, e dimostra che questa teoria non funziona.

Le cose si attraggono e si respingono ma senza alcun contatto.  Leibniz pensa che sia ridicolo. Huygens la considera una sciocchezza. Anche Newton la considera una assurdità tuttavia la teoria funziona: non c’è una spiegazione fisica ma matematica.

Il modello meccanicistico ha fornito un criterio di intelligibilità per Galileo, Leibniz e Newton. Le scienze dopo Newton hanno abbandonato la ricerca di un mondo intelligibile. Passarono cinquant’anni dalla sua morte prima che si insegnassero le sue teorie, perché non erano vera scienza ma teorie matematiche. E così si va avanti fino al xx secolo.

Nel 1928 Russell scrive che la chimica non è riducibile alla fisica, forse in futuro. Un po’ come oggi si dice che i processi mentali non sono ancora riducibili ai processi neuronali.

La fisica sbagliava, perché la chimica non poteva essere ridotta alla fisica. Ora si potrebbe uniformare ma non ridurre. 

Cercare una riduzione è la strada sbagliata: così come non si poteva ridurre il mondo a dei modelli meccanicistici e non si poteva ridurre la chimica alla fisica, così potrebbe essere che le neuroscienze non si possono ridurre alle scienze del cervello se vogliamo essere in grado di unificarle.

Il lavoro di Randy Gallistel (neuroscienziato cognitivo): sostiene che le reti neurali sono semplicemente la tecnica di calcolo sbagliata. La rete neurale è lenta per gli standard di ciò che deve fare il cervello.

Ha dimostrato che con le reti neurali non si può costruire l’elemento computazionale minimo che è necessario per la teoria di base del calcolo, la commutabilità di Turing. L’unità di base coinvolta nel calcolo non può essere costruita da reti neurali. Quindi ci deve essere qualcos’altro probabilmente a livello cellulare dove risiede la potenza di calcolo, forse un RNA, una cellula, un microtubulo o qualcos’altro. Le reti neurali sono la base dei modelli di deep Learning, sono delle reti di neuroni artificiali che cercano nel posto sbagliato. Tutto è fatto con la forza bruta: forzare le cose per farle sembrare interessanti come i manufatti costruiti dagli artigiani nel XVI e XVII secolo. È la strada sbagliata.

Per quanto riguarda le neuroscienze il modello di base non ha funzionato correttamente. Quando accadrà forse potremo trovare una vera unificazione.

Andrea Moro, due osservazioni collegate a ciò che hai detto : a – è importante stupirci di fatti semplici (riferimento alle scoperte di Galileo, Newton…); b è impossibile costruire una macchina che parla. Ripeto sempre che c’è una distinzione tra simulare e comprendere il funzionamento effettivo. È ovvio che le simulazioni non permettono di capire cosa succede davvero nel cervello di un bambino quando cresce e acquisisce la sua grammatica. Ultima domanda: il rapporto tra chimica e fisica ci permette di riflette sul ruolo della linguistica e delle neuroscienze. Il mio punto di vista personale è che la linguistica non può e non deve essere subordinata a quello che sappiamo del cervello. Dobbiamo andare verso una unificazione a condizione che troviamo il coraggio di usare il termine mistero nel modo in cui tu lo usi. Non è escluso che gli esseri umani non arrivino mai a capire la creatività ma solo i confini di “Babele”. Cioè la gamma di possibilità che il nostro cervello offre quando si tratta di linguaggio. (min. 43 circa).

Chomsky:

Si può addestrare un topo a percorrere labirinti piuttosto complicati, ma non si potrà mai addestrare un topo a risolvere un labirinto di numeri primi. Il topo non ha questo concetto e non c’è modo di dargli questo concetto al di fuori del suo ambito concettuale. Questo vale per ogni organismo. Perché non dovrebbe essere vero per noi? Siamo una specie di angeli? No, abbiamo la stessa base degli altri organismi. In realtà, è molto difficile pensare che non siamo come loro. La capacità di fare qualcosa implica che non sappiamo fare qualcos’altro.

Abbiamo una capacità perché in qualche modo siamo costruiti per poterla fare. Ma la stessa progettazione che ci permette di fare una cosa, ci impedisce di fare qualcos’altro. Questo è vero per ogni dominio dell’esistenza. Perché non dovrebbe valere anche per la cognizione?

Gli esseri umani sono in grado di sviluppare, per esempio, una teoria quantistica avanzata in base a certe proprietà della loro mente. E quelle stesse proprietà potrebbero impedirle di fare qualcos’altro.

 Hume dice che la grande conquista di Newton è stata svelare alcuni dei misteri della natura, ma anche lasciare altri misteri nascosti in modo che non capiremo mai.

Cartesio e altri studiavano la teoria della separazione della mente dal corpo e notarono che non reggeva  perché la teoria del corpo era sbagliata. Ma la teoria della mente poteva anche essere giusta.

Emilio Brizzi e il controllo del movimento: è come se stessimo arrivando a capire la marionetta e i fili senza sapere niente del burattinaio.

Nel profondo nessuno ci crede che tutto è deterministico, perché non ha senso. La scienza si occupa di cose che sono determinate o casuali, ma non esiste una scienza dell’azione volontaria, così come non c’è nessuna scienza della creatività del linguaggio. Sono misteri permanenti, forse sono qualcosa che non capiremo mai. 

Si potrebbe dire la stessa cosa di alcuni aspetti della coscienza. Cosa significa per me guardare lo sfondo che vedo qui e vedere qualcosa di rosso? Cosa suscita in me il rosso? Possiamo spiegare e sapere che cosa fanno gli organi sensoriali ma non il senso dell’essere rosso. Forse è solo qualcosa che va oltre le nostre capacità cognitive.  

Possiamo cercare di costruire (come ha fatto Newton) la migliore teoria possibile sulla coscienza o sull’azione volontaria o l’uso creativo del linguaggio.

Il miracolo che ancora mi stupisce è: come possiamo con pochi simboli trasmettere agli altri quello che succede dentro la nostra mente?

Ho qualche idea in proposito ma non una teoria. Una cosa in cui mi sono imbattuto è stata una frase di W. von Humboldt: Il linguaggio fa un uso infinito di mezzi finiti.

Si pensava che avessimo risposto a questa domanda con la compatibilità di Turing e la grammatica generativa ma non è così. Parlava di uso infinito, non della capacità generativa. possiamo capire la generazione delle espressioni che usiamo, ma non come le usiamo. Perché a un certo punto decidiamo di dire questo e non dire qualcos’altro. Nelle nostre normali interazioni. perché trasmettiamo quello che accade nella nostra mente agli altri in un modo particolare. Nessuno lo capisce. quindi l’uso infinito del linguaggio rimane un mistero.

Andrea Moro, citando un fisico francese: dobbiamo ridurre ciò che è visibile e complesso a qualcosa di invisibile e semplice.

Interviste impossibili – Noam Chomsky con Andrea Moro | Festivaletteratura 2020