Raffiche di “ciao” che ti salutano frettolosamente dal telefono. Una volta ne ho contati undici. Più che infastidito rimango perplesso. Hai fretta? Ti è caduta la tazza del caffè? È un segno di attenzione per me? C’è un significato sottinteso? Hai qualche problema? Ciao è una parola ormai inflazionata che si usa in modo piatto, neppure confidenziale, in modo sciatto.
Ecco due brani tratti da due articoli di Guido Ceronetti, scritti a distanza di tre anni. Un solo ciao, basta e avanza.
“Il miglior saluto è «ciao», in lingua ancora decentemente italiana, lo segua o no il nome. Dall’eco un po’ servile nell’ètimo (sciavo, schiavo, s’ intende: tuo) l’ origine è strapersa, e «ciao» ha il colore dell’indipendenza. Il suo uso in lingua corrente è databile, pare, verso 1880: dunque si poteva già salutare con “Ciao Giosuè” il Carducci e con “Ciao Mimile” èmile Zola, come lo chiamava la sua legittima, Alexandrine. Prima del 1922, “Ciao benito” lo poteva dire chiunque – dopo, via via, sempre meno. Facile, del nobile linguistico, lo scadimento. Ciao è bello a patto che non sia ripetuto: ciao-ciao sfiora già il cadente è svogliato e denota, pur con le migliori intenzioni, una grande stanchezza. Il ciao ripetuto è dei moribondi, dei grandi malati, potendo è meglio astenersene. Pessimo, da evitare, da reprimere, dilagato come un male infettivo è il ciao a filza di salamini, a mitraglia di guerrigliero, oggi usatissimo nei congedi telefonici, sia di fisso che di cellulare: “ciao ciao ciao ciao ciao…!”
La difficile arte di salutare gli altri, Guido Ceronetti, 2008
“Il cellulare, tra parlato e messaggi, ha reso insopportabile il pur sempre verde e bellissimo ciao ripetendolo sei-settedieci volte di seguito, tumultuosamente, al momento di chiudere qualsiasi, anche brevissima, conversazione. Tutti quei ciao indicano mancanza di parole di saluto in grado di evitare la stupida filza. La stessa esiste per il telefono fisso. Un solo ciao sta diventando linguaggio eccessivamente normale di rari intelligenti.”
Ragazzi accumulate parole, Guido Ceronetti, 2011