Erano i primi anni della guerra del Vietnam. I giornali e la televisione ne parlavano, a scuola si discuteva, e in pochi non eravamo d’accordo: era un’aggressione degli Stati Uniti al Vietnam. Lessi un articolo di propaganda filo-americana, (Selezione, dal Reader’s Digest) che mi colpì molto e a cui ho ripensato negli anni. Raccontava di un soldato statunitense che aveva deciso di arruolarsi come volontario in Vietnam, perché aveva scoperto di essere malato e incurabile. Non ricordo i dettagli, ma l’articolo era di propaganda e tendeva a farne un eroe. Ricordo l’immagine, anni dopo, di un soldato seduto sull’angolo del letto di un ospedale, la faccia triste che ti guarda. Era la foto di uno dei volontari di Chernobyl che andarono sul tetto della centrale nucleare, sapendo che sarebbero morti. Ma in Vietnam? Pensai che fosse una decisione molto stupida: che senso c’è nell’andare ad ammazzare altre persone sapendo che devi morire. Che ragioni aveva quell’uomo per fare una scelta aggressiva e violenta nei confronti di persone sconosciute? Anticomunismo, fanatismo nazionalista, patriottismo, fede religiosa militante? Mi sembrava così folle, così irrazionale. Perché andare a morire dall’altra parte del mondo, tra persone sconosciute. Lontano dagli affetti, da amici e parenti, dalle cose che ti piacciono. Con un M16 tra le mani in mezzo alla jungla. e la convizione di salvare l’occidente? Un uomo che si sacrifica per la patria? No, non ci posso credere. Propaganda! Forse non aveva affetti e neppure amici. Forse aveva solo odio e rancore, e quello per lui era l’unico modo di vendicarsi o rivalersi della propria solitudine.