La pirateria è nata con il commercio sui mari. Era un modo “facile” per accumulare ricchezze ed acquisire potere impossessandosi con la forza di risorse (merci e schiavi) raccolte da altri. Arrembaggi, saccheggi, rapimenti, ricatti e rapine, tutto era lecito: chissà quante nefandezze furono commesse e quanta paura provarono i marinai e le popolazioni costiere. Ma le storie e le leggende sulla crudeltà dei pirati, sulla loro ferocia, spesso non sono meno esagerate di quelle sul loro coraggio.
La ricerca storiografica ha permesso di ricostruire una realtà “piratesca” molto complessa dove a volte i ruoli di aggressore e di aggredito si confondevano o si scambiavano anche rapidamente. Vi sono state piccole popolazioni costiere dedite alla pirateria per sopravvivere. Ma anche grandi potenze come l’impero turco o la corona inglese hanno protetto e usato i pirati e i corsari per mantenere la propria egemonia sui mari. Gli stessi mercanti che armavano le flotte per combattere i pirati non disdegnavano di fare buoni affari con loro, di qualsiasi religione od origine fossero.
Si racconta spesso di quali favolosi tesori venissero accumulati, e magari sepolti o affondati in luoghi rimasti ignoti. Poco si conoscono, invece, le storie di quei marinai che finirono in bocca ai pesci dopo una vita breve, o mai troppo lunga, trascorsa sulle navi passando da pirata a schiavo e viceversa con una frequenza insolita.
Erano veri abitanti del mare: un popolo nomade che viveva sul bordo e negli interstizi delle grandi potenze militari e commerciali, oltre i limiti della giustizia, superando le frontiere delle conoscenze geografiche dell’epoca. Non avevano leggi o regole morali scritte. Ma ciò non significa che non avessero convenzioni e modelli di comportamento. E in quanto alla morale: non era molto diversa da quella dei loro avversari cristiani o musulmani.
In certi casi, o in certi momenti, sui loro vascelli si crearono delle relazioni, delle aspirazioni, dei ruoli, in sintesi dei rapporti sociali che vedremo emergere in tempi successivi anche sulla terra ferma.
Nonostante le guerre e le battaglie contro le potenze dominanti, la pirateria non si è mai configurata come una forma di potere, ma è sempre rimasta in una condizione prepolitica: economica ed esistenziale. Nessuno sceglieva di fare il pirata, se non spinto dalla necessità. E chiunque aveva la forza, l’astuzia, il coraggio e un po’ di fortuna per affrontare il mare, aveva anche buone probabilità di trovare lavoro come marinaio e magari finire imbarcato su una nave pirata: meglio sul ponte a combattere o incatenato ai remi?
Dal Mediterraneo, ai Caraibi, all’Oceano Indiano, sino al Mare della Cina e attraverso l’Oceano Pacifico, pirati e marinai percorrevano la superficie delle acque come esploratori di uno spazio ancora ignoto, sperimentando le nuove potenzialità e le infinite rotte che lo attraversano.
link
Piracy in early British America – Autore: Simon Smith, May, 1996
Real pirates, real life – National Geographic Society, 1999
Silver Bank – National Geographic Society, 1998