Atlante occidentale, di Daniele del Giudice, 1985
«… l’atlante della luce…»
«Brahe lo ha fissato un attimo, sorpreso. Epstein ha scosso la testa, sorridendo: «Lo scriverò soltanto per me, un libretto da portarmi appresso, in tasca. Lo userò come gli ornitologi usano quelli per riconoscere e distinguere gli uccelli, o come i geografi usano le carte. Certe volte mi sembra che la geografia sia la scienza più fondamentale, legata com’è alla terra per via del nome, e così legata alle persone per via dell’orientamento… Forse il vero centro del pensiero e del sentimento è nell’orecchio, dove ci sono gli ossicini dell’equilibrio…» p. 138
«O forse, – disse Epstein dando un’occhiata in giro nel giardino, – esiste davvero un tempo parallelo in cui Einstein e Kafka si sono incontrati. Forse ci sono tempi diversi dal nostro in cui Einstein e Kakfa escono ogni giorno di casa, stanno per incontrarsi, tornano indietro; escono di nuovo, sono sul punto di farcela, ritornano a casa, O tempi ciclici in cui Einstein e Kafka si incontrano ogni tanti anni e dicono “Ancora lei!”, tempi dell’attesa in cui passano la vita aspettando d’incontrarsi e ogni istante potrebbe essere quello buono, ma non si incontrano perché in realtà si sono già incontrati senza che nessuno dei due se ne accorgesse; o tempi biforcuti in cui si incontrano e contemporaneamente non si incontrano, e il fatto è del tutto equivalente». Brahe si è chinato leggermente in avanti, ha detto: «Il tempo va in una direzione, una sola. […] La Legge è splendida, anche l’immaginazione è splendida. Purtroppo in ogni esperimento vale solo quello che si può mostrare», e lo disse con una tenerezza struggente che coinvolgeva entrambi. »p. 66