Relazione e metafisica

Sette brevi lezioni di metafisica – Maurizio Donati (2017) Libraio.it 

commento a: Le cose sono solo relazioni, Carlo Rovelli, articolo 2017 (vedi pdf)

 – Robert Fogelin con un libro che introduce il pensiero di Wittgenstein come una riproposta di fatto dello scetticismo classico, ben più radicale di quello di Hume: quello di Pirrone.

 – Francis Herbert Bradley: parla di metafisica delle relazioni. Eliot scrive tesi di dottorato su Bradley nel 1916. Nel testo Apparenza e Realtà fa esempio di una zolletta di zucchero: nulla è se non la somma di elementi unificati. La zolletta di zucchero è dolce, bianca, dura.

 – Rovelli  (Le cose sono solo relazioni, art. citato) “Nagarjuna distingue due livelli, come fanno tanta filosofia e scienza: la realtà convenzionale, apparente, con i suoi aspetti illusori o prospettici, e la realtà ultima. Ma porta questa distinzione in una direzione sorprendente: la realtà ultima, l’essenza, è assenza, vacuità. Non c’è. Ogni metafisica cerca una sostanza prima, un’essenza da cui tutto il resto possa dipendere: il punto di partenza può essere la materia, Dio, lo spirito, le
forme platoniche, il soggetto, i momenti elementari di coscienza, energia, esperienza, linguaggio, circoli ermeneutici o quant’altro. Nagarjuna suggerisce che semplicemente la sostanza ultima… non c’è.”

 – Thimothy Sprigge ha dedicato un libro a Bradley, American Truth and British Reality (1993). Sprigge, per primo, ha coniato la celebre espressione What is it like to be a bat?, cosa significa essere un pipistrello, circoscrivendo la domanda fondamentale intorno al tema della coscienza – domanda che ogni teoria materialista della coscienza ignora – nell’espressione what is it like to be.

 – David Chalmers (vedi conferenza Come si spiega la coscienza?) sostiene che il panpsichismo avrebbe buone ragioni dalla sua. Ma non sia mai che di nuovo uno spettro si aggiri per l’Europa, lo spettro dell’idealismo… Non si tratta di questo. Almeno, non sembra uno spettro.

 – La forza di un argomento ha poco a che vedere con la correttezza filologica, senza nulla togliere ovviamente all’importanza della ricerca filologica. Non è però la sola cosa che conta.

 – Jay Garfield: come ogni filosofo analitico, ha studiato logica, filosofia della mente, metafisica, senza nessuna intrusione del pensiero orientale nella sua formazione. Zero. Ha scoperto casualmente Nagarjuna, e ha appassionato Rovelli.

 – Robert Brandom che ha scritto anni fa un libro importante, Making it explicit, in cui argomenta come tutta la nostra conoscenza, anche la più semplice percezione di una cosa o di un colore, avrebbe un aspetto “inferenziale”.

 – Wilfrid Sellars e la sua critica radicale al cosiddetto “mito del dato” contenuta nel libro Empirismo e filosofia della mente, tradotto in italiano da Einaudi. Sellars, il maestro di Jay Garfield.

 – Derek Parfit, filosofo poco letto in Italia ma che ha scritto parecchio proprio sul tema dell’identità personale, soprattutto nel suo libro più noto, Ragioni e persone (tradotto dal Saggiatore negli anni Ottanta e oggi introvabile, fuori catalogo); e ha sviluppato una delle più radicali critiche contemporanee all’esistenza dell’io. Nel 2011 il New Yorker ha dedicato a Parfit un bellissimo articolo, Solo due filosofi italiani hanno pubblicato un pezzo su Parfit dopo la sua morte, avvenuta appunto il primo gennaio 2017. Sebastiano Maffettone ha scritto un articolo sul Sole 24Ore. Nicla Vassallo sul sito Doppiozero, con questo titolo: “Derek Parfit, il genio da noi sconosciuto”. 

Due i  mostri sacri:

 – David Armstrong, riconosciuto da molti come uno dei più importanti metafisici del Novecento

 – David Lewis: il realista più radicale di tutti, che ammette perfino l’esistenza dei mondi possibili (sarebbero sistemi spazio-temporali distinti dal nostro mondo ma altrettanto concreti)