Marxismo e animalismo: Contributi a una discussione, di Marco Maurizi e collettivo Rinascita animalista (biblioteca marxista).
Può un non vegetariano dirsi comunista.
Engels era, dei due, quello che si mostrava maggiormente avverso al vegetarismo e all’antivivisezionismo, che considerava estraneai e inconciliabili con il “socialismo scientifico”, tanto da accomunarli con le varie sette che a questo si avvicinavano spinti dalla forza di attrazione della rivoluzione operaia. La lista che Engels fa di queste “sette” è particolarmente divertita: “avversari della vaccinazione, astemi, vegetariani, antivivisezionisti, medici naturisti, predicatori di libere comunità…, autori di nuove teorie sull’origine del mondo, inventori senza successo o falliti…”.[26] A difesa di Engels va però detto che egli fu anche l’unico dei due che chiamò per nome il dominio violento dell’uomo sulla natura e prospettò la vendetta della seconda sul primo e la necessità di un accordo armonico tra l’azione umana e il contesto in cui questa avviene. Nella Dialettica della natura Engels spiega come si deve intendere quella unione di “umanismo e naturalismo” che il giovane Marx dei Manoscritti aveva lasciato nel vago:
A difesa di Engels va però detto che egli fu anche l’unico dei due che chiamò per nome il dominio violento dell’uomo sulla natura e prospettò la vendetta della seconda sul primo e la necessità di un accordo armonico tra l’azione umana e il contesto in cui questa avviene. Nella Dialettica della natura Engels spiega come si deve intendere quella unione di “umanismo e naturalismo” che il giovane Marx dei Manoscritti aveva lasciato nel vago: (Forme economiche precapitalistiche, Marx)
solo l’uomo come specie può asservire la natura e gli altri esseri viventi, ma che tale asservimento “specistico” presuppone sempre l’asservimento “sociale” dei propri simili.
se la schiavitù dell’uomo può essere considerata un passaggio inevitabile nella costruzione di una società di liberi e uguali, lo stesso potrebbe dirsi di quella animale: l’uomo è quell’animale che attraverso la lotta con altri animali impara a sottrarsi ad essa. Ma in Marx questo passaggio non è posto in modo esplicito e nulla sembra preannunciare che l’uomo liberato dal bisogno potrà mollare la morsa sugli animali che è nata e si è sviluppata proprio nell’epoca del suo bisogno impellente di sopravvivere in un ambiente ostile.[40] Nemmeno il fatto che gli animali domestici siano “malgré eux prodotti di un processo storico”[41] che ha visto trasformati radicalmente i loro bisogni, il loro ambiente e le loro abitudini ha mai implicato per Marx ed Engels una qualche forma di continuità relazionale interspecifica.
Adorno afferma che “Auschwitz inizia quando si guarda ad un macello e si pensa: sono solo animali”. Con questo, Adorno intendeva dire che il mantener fuori dalla sfera della considerazione etica un’intera classe di esseri senzienti, fornisce non solo la giustificazione etica per le nostre pratiche infernali di trattamento degli animali, ma anche la possibilità ideologica di equiparare dei gruppi umani “indesiderati” agli animali stessi.[44]
Anche qui va però ribadito che la frase di Adorno si riferisce non alla semplice convinzione etica dei soggetti – cosa che dopo Freud può tranquillamente definirsi un fenemeno di superificie – quanto ad un fatto che attiene alla struttura stessa della coscienza umana. Che questa si percepisca come qualcosa d’altro dall’animale è, infatti, ciò che deve essere compreso per poter essere cambiato e per fare ciò non basta la semplice indignazione morale.
Nella Dialettica dell’illuminismo, pubblicata da Adorno ed Horkheimer nel 1947 si legge: “L’idea dell’uomo, nella storia europea, trova espressione nella distinzione dall’animale. Con l’irragionevolezza dell’animale si dimostra la dignità dell’uomo. Questa antitesi è stata predicata con tale costanza e unanimità da tutti gli antenati del pensiero borghese – antichi ebrei, stoici e padri della Chiesa – e poi attraverso il Medioevo e l’età moderna, che appartiene ormai, come poche altre idee, al fondo inalienabile dell’antropologia occidentale”.[45] Ma la persistenza di questo pregiudizio, la sua continuità attravreso le epoche, non costituisce certo una spiegazione ed è ciò che va semmai spiegato.
“Gli uomini pagano l’accrescimento del loro potere con l’estraniazione da ciò su cui lo esercitano”.[46] Il dominio che l’uomo esercita sulla natura, in altri termini, appare contemporanemente come causa ed effetto del suo estraniamento da essa.
Il dominio dell’uomo sulla natura non deve essere concepito come l’opera di un essere innaturale, ciò che restaurerebbe l’opinione religiosa sul carattere “trascendente” dell’essere umano. L’oppressione che la società umana esercita sulla natura interna all’uomo non meno che su quella esterna, si fonda infatti sull’illusione della separazione ontologica tra spirito e natura. Ciò significa non solo che l’essere “altro” della natura è solo un nome della sua degradazione, ciò di cui lo spirito ha bisogno per potersi ergere sopra di essa, ma che esso nasconde l’inganno di cui si nutre lo spirito umano inconciliato: il suo perpetuare la violenta lotta intestina della natura. L’uomo non fa altro che riprodurre a un livello più alto una violenza che esso eredita dalla lotta naturale per l’esistenza.
l’avventura storica dell’uomo è l’avventura stessa della natura che, internamente lacerata, desidera uscire dalla propria condizione di violenza e accedere ad uno stadio di pacificazione che solo l’uomo, con tutta la brutalità di cui è stato capace da millenni, può garantirle. La ragione umana non è solo lo strumento che freddamente pianifica il massacro, ma anche l’arma di cui la sollecitudine verso i deboli non può fare a meno.
Mi interessa qui, ovviamente, solo l’animalismo “radicale”, l’unico che possegga i requisiti per un aggancio con la prospettiva marxista. Di fronte alla sofferenza inaudita, insensata, cieca e muta di miliardi di animali appare infatti ragionevole e nient’affatto “estremista”, la richiesta di un cambiamento immediato delle loro condizioni.
La richiesta di “immediata” cessazione della sofferenza si perde pertanto nelle nebbie di un futuro lontano, assume tinte messianiche. E la cosa non cambia per chi si immagina un più pragmatico cambiamento “graduale”, cioè di poter instaurare l’uguaglianza giuridica tra uomo e animale attraverso piccoli aggiustamenti del sistema: nessuna somma di aggiustamenti parziali potrà realizzare l’uguaglianza giuridica se manca la norma fondamentale che esplicitamente dà al precetto dell’eguaglianza valore normativo. Ora, io ritengo che questa posizione si scontri contro un limite intrinseco che rende non solo utopica la possibilità di un’abolizione graduale dello sfruttamento animale, ma oggettivamente irrealizzabile se percorsa per via legale.
Regan è convinto che “la filosofia morale non è un surrogato dell’azione politica. Tuttavia può contribuire ad orientarla”.[61] Ciò può sembrare vero solo a chi ritiene vere queste condizioni: 1) che il progresso politico risulti da una discussione razionale in cui l’argomento più convincente ha la meglio; 2) che la discussione sia effettivamente libera e non venga manipolata. Nessuno di questi due presupposti mi sembra anche solo vagamente verosimile. Regan afferma che le questioni che stanno a cuore al movimento per i diritti animali “sono tutte questioni, in larga misura, politiche”.[62] Subito dopo, però, specifica: “la gente deve cambiare le sue convinzioni prima di cambiare le sue abitudini”.[63]
Singer “Il problema non è tanto quello di trasformare l’opinione della gente. C’è piuttosto da disperdere una gran quantità di ignoranza, ma, una volta che la gente verrà a sapere come vanno le cose, con ogni probabilità disapproverà, e lo farà energicamente”.[64] …. Singer ammette: “ma il problema più grande rimane lo specismo; finché non lo si estirpa, neanche il resto può essere risolto”.[65]
Occorre rovesciare la questione e rendersi conto che l’abbattimento del capitalismo e l’instaurazione di un’organizzazione sociale più equa e giusta è la conditio sine qua non di ogni diminuzione generalizzata dello sfruttamento animale. E questo perché un cambiamento di coscienza è possibile solo laddove la base reale dell’esistenza dei singoli è cambiata.
Da questo punto di vista, il marxismo esprime in sé l’ideale di un superamento della scissione e della contrapposizione uomo-natura, in una forma generale che può ospitare sia le aspirazioni della coscienza animalista, sia quelle della coscienza ecologista.[67]
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Può un non vegetariano dirsi comunista? di Massimo Filippi, 2013
Il comunismo dovrebbe essere per sua natura internazionalista ed inclusivo.
E’ possibile ancora oggi non riconoscere che lo sfruttamento degli animali è la premessa e la giustificazione logica dello sfruttamento umano? Leggendo i filosofi marxisti della scuola di Francoforte (tra gli altri, Adorno, Horkheimer e Marcuse) sembrerebbe proprio di no. Ad esempio, Adorno afferma che “Auschwitz inizia quando si guarda ad un macello e si pensa: sono solo animali”. Con questo, Adorno intendeva dire che il mantener fuori dalla sfera della considerazione etica un’intera classe di esseri senzienti, fornisce non solo la giustificazione etica per le nostre pratiche infernali di trattamento degli animali, ma anche la possibilità ideologica di equiparare dei gruppi umani “indesiderati” agli animali stessi, presi come sistema di riferimento negativo, al fine di poter riservar loro lo stesso trattamento, cioè lo sterminio.
Nei moderni allevamenti industriali, nel trasporto ai macelli e nei macelli medesimi, gli animali, infatti, non sono trattati come esseri senzienti, ma come macchine capaci di trasformare proteine vegetali in proteine animali, e pertanto da trattare senza riguardo al fine del massimo profitto economico.
per produrre un chilo di proteine animali occorrono 16 kg di proteine vegetali
per alimentare 1.300.000.000 bovini, 2.000.000.000 tra ovini e caprini, 1.000.000.000 di suini e 12.000.000.000 di polli (tanti sono gli animali allevati al mondo senza considerare quelli che non vengono contati individualmente, come pesci e conigli, perché venduti a peso!)
una mucca produce 180 quintali di feci all’anno
Il 70% dell’acqua è, infatti, utilizzata per la zootecnia e per l’agricoltura (la maggior parte della quale serve a produrre alimenti per gli animali d’allevamento). Questo comporta che produrre 1 kg di carne costa all’ambiente 3150 litri di acqua.
L’uomo è ciò che mangia
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