Appunti da Recensione di Laura Giovinazzi a Davide Caselli, Esperti. Come studiarli e perché, (Rivista Pandora)
Caselli indaga l’appartenenza dei gruppi a determinati campi come un punto di partenza che permette di contestualizzare il comportamento degli esperti più che a definirlo. Le zone grigie del potere esperto sono infatti costituite da relazioni strutturate attivamente tra membri appartenenti a diversi campi e le loro diverse conoscenze: è quindi nella capacità di connettere reti esistenti e costruirne di nuove che gli esperti definiscono se stessi e la propria expertise.
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Problematizzando la concezione secondo cui il potere esperto-tecnico esiste e si espande grazie a una capacità di problem-solving, Caselli mostra che gli esperti tentano di legittimarsi andando a ridefinire i problemi stessi. Questo esercizio depoliticizza, di fatto, le basi del welfare e contribuisce a rimuovere questioni e contraddizioni politiche dai processi politici stessi – come la formulazione ed erogazione di servizi per garantire diritti sociali e civili.
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l’appropriazione di una expertise va concettualizzata come un processo, e non come un’azione puntuale, proprio perché gli esperti non ambiscono all’appartenenza ad un campo, ma alla capacità di muoversi tra più campi e posizionarsi quasi come intermediari tra questi. Per questo motivo l’autore, citando Gil Eyal[1], invita a concettualizzare l’expertise «non in una persona o un gruppo di persone e nemmeno in una specifica conoscenza disciplinare ma in «una rete» che connette i cosiddetti «esperti» con i clienti e i loro pubblici non esperti» (p. 25).
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Caselli articola la sua indagine su due piani. Da un lato, mostra i nuovi spazi che le recenti politiche del welfare hanno aperto alla partecipazione di esperti… Dall’altro, l’autore mostra che, seppur rilevanti, tali sviluppi politico-economici attivati dall’alto non hanno automaticamente legittimato gli esperti del welfare abitativo.
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Una delle principali armi usata dagli esperti del welfare abitativo studiati è la depoliticizzazione, che spesso si manifesta attraverso l’ubiquità del linguaggio esperto – che caratterizza anche il management, per alcuni un potere «senza teoria»[2]. Ridefinendo in termini generali e ampi gli scopi del welfare abitativo e le modalità per raggiungerli, gli esperti delegittimano pratiche e gruppi già presenti sul territorio, consapevoli che «rappresentare la realtà in un certo modo significa anche determinare in maniera importante il modo in cui su quella realtà si deve andare ad agire» (p. 115).
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Se da un lato gli esperti reclamano un approccio strategico volto all’efficienza del servizio sociale, ad esempio, dall’altro emerge invece che alla ramificazione del loro potere coincide una crescente distanza tra il welfare abitativo e suoi destinatari.
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La relazione tra operatori sociali e agenzie di consulenza non è però generalizzabile a un processo di resa dei primi al dominio dei secondi. Si tratta invece di una complessa dialettica che va indagata nella sua articolazione specifica e contestuale. Se gli operatori sociali, da un lato, rigettano le definizioni esperte e rivendicano il proprio ruolo di lavoratori attivi su ciò che viene ora definita «coesione sociale», dall’altro si ritrovano a chiedere assistenza agli stessi gruppi che delegittimano attivamente la loro esperienza con nuovi «approcci strategici».
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Trasformazioni quali la gentrificazione vengono dunque concepite non in termini astratti o economistici, ma anche come il risultato di una graduale depoliticizzazione di cittadini sempre più disillusi e sfiduciati dai servizi di welfare gestiti «strategicamente». Dunque subentra una dinamica nella quale i cittadini iniziano a prendere le distanze da quelle stesse associazioni che prima venivano considerate più capaci di rispondere ai loro bisogni.
*Di fatto, vi sono proposte esperte di sviluppo locale, ad esempio, che propongono di riqualificare i quartieri secondo logiche simili a quelle della gentrificazione; organizzando eventi e attività che possano attrarre «normalità» e «agio» mettendo in secondo piano l’elaborazione di pratiche volte alla risposta ai numerosi disagi dei cittadini.
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La ricerca critica deve dunque riuscire a smascherare gli aspetti normativi dei diversi gruppi che interagiscono tra di loro, onde evitare di riprodurre gli assiomi discorsivi sui quali poggia la legittimità di gruppi esperti. Caselli intraprende questo difficile esercizio attraverso attente osservazioni, che ricordano quanto sostenuto dal filosofo Yves Charles Zarka, ovvero che «l’interesse del potere per il sapere non […] è la ricerca di verità in quanto tale […] ma il processo di accreditamento […] la verità come norma».