Scienza e politica. Quale dialogo? (dibattito organizzato dalla fondazione Feltrinelli il 28 aprile 2021)
Tonelli: Quando la scienza cambia paradigmi (per esempio relatività e quantistica portano nuove tecnologie) cambia anche la nostra visione del mondo e le relazioni fra gli individui. Mi aspetto consapevolezza, sentire comune. In questo secolo è centrale conoscenza e innovazione, mentre nel secolo precedente erano le materie prime. Se ci fosse consapevolezza di questo si adotterebbero misure per generazioni successive di governi che vanno in questa direzione senza lasciarsi condizionare dalle contingenze (crisi finanziaria, pandemia…) Basta con Stop and Go continuo.
Simoni Marco ( economista fondazione Technopole): trovare equilibrio reciproco. Non ci sono più luoghi intermedi. Adesso la scienza deve comunicare e la politica deve tener conto di tutti gli aspetti. Interesse collettivo è al centro della democrazia. decidere anche che cosa non è interesse collettivo e il disinteresse collettivo. Esempi: diritto di famiglia, tenere inflazione bassa… Recentemente si è visto che l’interesse collettivo sta diminuendo (per es. no vax, Trump…). anche la fiducia nella scienza. Costruire un terreno comune.
La scienza ti può dare indicazioni parziali e relative a quel momento. Dopo due anni sono cambiate, ma la legge tu devi farla in quel momento e poi devi tener conto degli interessi, dei valori. Molto dipende dal momento in cui si prende una decisione.
Corbellini (epistemologo): La scienza più che dirci o suggerirci come comportarci cerca di dirci come stanno le cose. La scienza fornisce spiegazioni, se ne ha, consente di fare previsioni sulle conseguenze delle scelte che facciamo. E aiuta a ragionare e decidere sulla base di prove. Si dice che dobbiamo usare i dati, ma in realtà i dati sono una cosa diversa dalle prove. “Non è scientifico decidere in base ai dati, infatti si stanno facendo un sacco di guai usando dati che poi non si sa nemmeno come sono stati raccolti. D’altra parte la politica pesa le conoscenze prodotte dalla scienza e le innovazioni tecniche sulla base di percezioni soggettive e sociali che riguardano bisogni che sono personali e sociali, usando dei criteri di valutazione che sono dei modi di sentire psicologico-culturali diffusi che noi chiamiamo valori.
Le invasioni di campo fra scienza e politica non sono qualcosa di strano. La politica possiamo definirla come un pensiero motivato, quindi è incline a piegare i fatti o le prove a qualche tipo di orientamento, o preferenza ideologica. Anche gli scienziati politicamente motivati manipolano più dei non scienziati. Le invasioni di campo sono aumentate perché gli avanzamenti scientifici hanno creato più incertezze che certezze. Il problema è che noi evolutivamente cerchiamo la certezza. E se forniamo delle incertezze come fa la scienza, le persone le rifiutano. Non è facile far capire perché le persone si sono sempre affidate alla religione.
Esempio di invasione di campo che ha influenzato le decisioni politiche, una fallacia argomentativa è che la credenza che ciò che è naturale o la natura è qualche cosa che per definizione è più sicuro, più buono, più giusto… ci hanno riempito la testa con l’idea del cibo biologico… ma in questo modo la politica, cercando il consenso in quella parte, ha raso al suolo la ricerca nel campo della genetica agraria in Italia.
Tonelli: quali difficoltà da superare per costruire un rapporto proficuo. la scienza da sola non può risolvere i problemi. Condizioni per un confronto: da parte degli scienziati senso di responsabilità… atteggiamenti di prudenza…
È necessario da parte della politica di impadronirsi di una certa parte del linguaggio scientifico. Per esempio i politici non conoscono la statistica, non capiscono le differenze.
Corbellini: Io non credo che si debbano trovare competenze in quakche modo speciali che sappiano gettare un ponte tra scienza e politica. Io penso che il nocciolo del problema sia che scienza e politica sino mossi da incentivi diversi. La politica è mossa nella ricerca del consenso – nessuna scienza può cambiare la natura umana. Io penso che il problema per l’Italia non sia quello dell’analfabetismo scientifico ma quello dell’analfabetismo funzionale. Abbiamo metà dei cittadini che non sa capire frasi complesse, informazioni contraddittorie, distinguere fonti attendibili da fonti non attendibili, calcolare un tasso di sconto, fare operazioni di prenotazione o pagamento attraverso internet. Dobbiamo migliorare la cultura scientifica dei cittadini partendo soprattutto dai giovani. Se vogliamo che la politica porti più rispetto alla scienza dobbiamo migliorare la cultura scientifica partendo dalle scuole. Ai giovani si dovrebbero fornire strumenti cognitivi che immunizzino da false credenze, pseudoscienze, idee complottistiche… Lo studente esce dal liceo senza avere alcun rudimento di statistica.
Villa Roberta (giornalista): recupera proposta di creare anche in Italia un ufficio fisso di appoggio al parlamento simile a quello britannico. Scienza in Parlamento. Un gruppo di giornalisti e comunicatori della scienza che forniscono ai politici i dati, le evidenze scientifiche, fornire elementi per le decisioni legislative. Tradurre e trasferire in un linguaggio che i politici possano capire, in modo neutro. Anche lo scienziato ha interessi economici; non dobbiamo credere per definizione che sia privo di conflitti di interessi.
Tonelli Guido: il metodo scientifico richiede prove, richiede fare ipotesi e verificarle. La politica chiede certezze e tempi inesistenti quando c’è urgenza. Ma quando si ritorna alla normale amministrazione è la politica che rimane indietro.
Simoni: La scienza non è un settore come gli altri, perché è quell’enzima che fa crescere tutta la società… Questa idea che da qualunque professione venga possa occuparsi di quella pubblica in maniera efficace non è vero. Temo molto l’idea che qualcuno possa pensare che siccome sono andato in televisione tre volte e so sequenziare un genoma, adesso posso anche scrivere una legge.
Corbellini: bisogna conoscere le scienze sociali per esprimersi nel campo della politica, perché hanno avuto uno sviluppo enorme. Nell’Italia dell’illuminismo i filosofi politici che hanno cambiato il pensiero erano persone che leggevano i Principia di Newton. Montesquieu, a cui dobbiamo lo stato di diritto, pensava di fare per la politica quello che Newton aveva fatto per la fisica, e si dilungava in una serie di analogie. Per alcuni secoli i filosofi politici hanno guardavano alle scienze come a dei modelli epistemologici.