Byung-Chul Han, autore di La società senza dolore, Einaudi.
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Io non dico che viviamo in una società senza dolore. Oggi abbiamo addirittura una epidemia di dolori cronici. Dico che il dolore ha una dimensione sociale e che quindi ogni critica della società deve confrontarsi con il dolore. Invece oggi il dolore viene ridotto agli aspetti medici e farmacologici.
Nella società postmoderna neoliberale aumentano le tensioni psichiche attraverso la pressione per l’efficienza o altre spinte, e ciò può portare a dolori cronici. Ho paragonato l’autosfruttamento neoliberale a un servo che prende la frusta dalle mani del padrone e frusta se stesso per essere lui il signore, anzi per essere libero. Questa spinta neoliberale per la prestazione e l’autosfruttamento ci fa ammalare.
Ogni esperienza intensa è dolorosa, anche l’amore intenso. oggi noi evitiamo le intensità per paura del dolore. Anche l’amore oggi deve essere depotenziato in una formula rivolta al consumo e al godimento. Ogni intensa percezione è dolorosa. Noi percepiamo oggi il mondo attraverso lo smartphone, che rendeL tutto consumabile e disponibile e riduce ogni cosa alla dimensione dello schermo. Penso che lo smartphone sia un analgesico digitale.
vicinanza, dedizione e contatto sono più importanti degli analgesici.
Nel futuro ci sarà la professione dell’ascoltatore, perché non ci sarà nessuno che ascolti l’altro.
Nelle decisioni sul contrasto alla pandemia dovrebbero piuttosto essere coinvolti psicologi, pedagogisti, sociologi, teologi, filosofi e artisti.
Ogni dolore ci sorprende come una corrente navigabile che conduce al mare. Il dolore ci appare appunto come una via senza uscita, che in nessun caso si può evitare. Il dolore è costitutivo della vita umana. Dove le separazioni fanno soffrire, i precedenti legami si rivelano come veri. Solo la verità duole. Se le separ,azioni non fanno soffrire i legami non erano stati veri.
La prima immagine del pensiero è la pelle d’oca. L’intelligenza artificiale proprio per questo è estranea al pensiero, perché non ha mai la pelle d’oca. La pelle d’oca è espressione di commozione e brivido. La consapevolezza che non porta a rabbrividire equivale a ridurre a oggetto. È incapace di esperienza in senso empatico, che in sé è dolore.
Quando siamo preoccupati solo di salute e sopravvivenza somigliamo noi stessi al virus, un essere non morto che si moltiplica, cioè sopravvive, senza vivere.
L’amore come rapporto ematico con l’altro ci assale e ci ferisce. L’amore come consumo, invece, non comporta dolore. Senza dolore non abbiamo alcun accesso all’altro. per questo parlo di dolore verso l’atro. Oggi abbiamo perso la capacità di percepire l’altro nella sua alterità. E l’altro privato della sua alterità, si lascia solo consumare.
(La lettura, domenica 21 febbraio 2021. intervista)