LIMES 2/2022 La Russia cambia il mondo
Il silenzio di Puskin – Lucio Caracciolo
Con la sua ironica prosa in cifra, sospesa tra realtà e sogno, Puškin ci introduce all’ossessione che distingue sapiens da ogni altro animale: è caso o necessità a decidere della nostra vita, della storia umana? Nel tentativo di sciogliere il rebus, Herman si dilania. Sicuro di aver strappato al fantasma di un’anziana contessa il segreto del successo al tavolo dell’azzardo, affdato a tre carte magiche: «Il tre dunque, il sette e l’asso di seguito ti faranno vincere, ma a patto che tu non giochi più d’una carta per sera, e che poi non giochi più per tutta la tua vita» 1. Herman proftta del segreto. Accumula fama e fortuna. Fino all’ultima sera. Sul tavolo due carte coperte. Giusta la regola del fantasma, Herman sa che la sua è asso. Gira la carta e avverte: «Il mio asso ha vinto!». «La vostra dama ha perduto», replica il banco. «Herman sussultò. Davanti a lui, difatto, invece d’un asso stava una dama. Il giovane non credeva ai suoi occhi e non riusciva a capire come avesse potuto sbagliarsi. In quella gli parve che la dama di picche ammiccasse e ghignasse. (…) Herman impazzì. È ora all’ospedale di Obukhov, al numero diciassette; non risponde ad alcuna domanda e borbotta con straordinaria rapidità: «Tre, sette, asso! Tre, sette, dama!…».
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Dal 24 febbraio il mondo ha preso a correre a velocità folle. Verso dove non si sa o si preferisce non sapere. Cartografare questa corsa su scala planetaria per offrirne una visione d’insieme è temerario. Viviamo in una guerra a più dimensioni di cui è impossibile determinare gli esiti, salvo che muteranno i paradigmi fondamentali del potere. Illusorio pretendere di rifssarli ora. Quando cade il tabù atomico la mente si chiude. Il solo discettare di bombardamenti nucleari quasi fossero chiacchiere da bar è danno irreparabile. Banalizzare l’impensabile, volgere in convenzionale l’arma definitiva esclude il ragionamento. Abbrutimento collettivo che pagheremo comunque finisca il confitto in Ucraina.
Per noi italiani, che da tre generazioni abbiamo espulso la guerra dall’orizzonte, il trauma è specialmente violento. Non siamo preparati a questo eccesso di storie inconciliate, che tutte si pretendono assolutamente vere. Sedati dalla forita retorica su Leuropa «potenza civile» abbiamo rimosso di star bordeggiando una giungla che avanza da oriente e meridione. Di non essere nazione neutrale né sovrana, bensì incardinata nell’Alleanza Atlantica a guida americana, perciò automaticamente coinvolta nello scontro. Non siamo (ancora?) in prima linea. Ma la pioggia di micidiali sanzioni e controsanzioni, la distribuzione di armi (abbastanza vetuste) ai nemici del nostro nemico e lo schieramento di mezzi e soldati in prossimità del fronte stravolgono il corso orizzontale del nostro tempo, già alterato dal virus.
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Ma la differenza fra una grande azienda e una grande potenza sta proprio in questo: la prima, munita di partita doppia, obbedisce al calcolemus; la seconda mira alla gloria, ragione sociale d’ogni impero. E ne fa, a suo modo, il cuore della pedagogia nazionale (foto). Putin sa di giocarsi tutto, pelle compresa. Resta da vedere quanti compatrioti vorranno seguirlo. E fino a quando.
1897 ravennate Olindo Guerrini nelle quartine dedicate «Agli Eroissimi»: «Perché, lungi dai colpi e dai confitti/ Comodamente d’ingrassar soffrite/ Baritonando ai poveri coscritti/ “Armiamoci e partite?”
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A cominciare dagli Stati Uniti d’America, che vinta la guerra fredda senza davvero volerlo, non hanno saputo che fare dei vinti. Quando l’avversario ti crolla davanti e tu non sai come trattarlo, ne diventi prigioniero. La tragedia del non-rapporto fra America e Russia dopo il suicidio dell’Urss è tutta qui. Doppia afasia. Soliloqui spacciati per dialogo. Finché le parole fniscono e a parlare sono le armi. Russe.
La parabola che porta all’invasione russa dell’Ucraina comincia il 9 febbraio 1990, quando il segretario di Stato James Baker chiede a Mikhail Gorba0ëv: «Preferisce vedere una Germania unita fuori della Nato, indipendente e senza Forze armate americane, oppure una Germania unita vincolata alla Nato, con la garanzia che la giurisdizione della Nato non si sposterà di un pollice verso est?» 9. Domanda retorica. Perché su un punto sovietici e americani concordano: dei tedeschi non si fidano.
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L’ultimo difensore dell’Unione Sovietica è il presidente degli Stati Uniti. Lo testimonia il suo sferzante monito al parlamento ucraino, il 1° agosto 1991, in cui su suggerimento di Gorba0ëv denuncia il «nazionalismo suicida» degli ucraini
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La denuclearizzazione dell’Ucraina è infne codifcata nel memorandum di Budapest del 5 dicembre 1994, con cui Russia, Stati Uniti e Regno Unito si impegnano a proteggere sovranità e integrità territoriale della repubblica ex sovietica. Da allora Kiev è meno importante per Washington. Non per Mosca.
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Ad oggi, 2 marzo, il bilancio inclina verso la sconfitta strategica della Russia, forse preceduta da un costosissimo successo tattico in Ucraina… La vittoria tattica sarebbe comunque limitata. Gli Stati Uniti già mobilitano baltici ed eusini per volgere i resti dell’Ucraina in Afghanistan europeo. Versione «la vendetta».
Quanto al fronte europeo. La sezione veterocontinentale dell’impero a stelle e strisce si ostenta più salda che mai. Ma dietro la facciata il formidabile schieramento sanzionatorio resta segnato dalle incompatibilità culturali e d’interesse fra le nazioni europee. Gli americani non potranno né vorranno impegnarsi troppo a ricucirle. Ma oggi vecchi e nuovi veterocontinentali servono a Washington nel perseguire l’obiettivo supremo: sconfggere la Cina tenendo sotto scacco la Russia, o quel che ne resterà. Impresa colossale. Impossibile compierla in solitario. La strisciante crisi di coppia fra Mosca e Pechino potrebbe facilitarla.
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Per questo gli americani ci faranno pagare il conto della nostra beata infingardaggine. La semigratuita polizza assicurativa concessaci nel 1945 è scaduta il 24 febbraio ultimo scorso ed è rinnovabile solo a tariffa moltiplicata con tasso variabile. Ad armarci ed eventualmente partire saremo anzitutto noi, sotto loro guida. L’Italia dovrà rivedere da cima a fondo lo schieramento militare all’estero (carta a colori 8). Per la prima volta la Repubblica considera operazioni di guerra aperta.
Purché la Germania non esageri. I cento miliardi stanziati da Berlino per riconvertire la «banda di aggressivi campeggiatori» – nickname inglese affbbiato alla Bundeswehr – in degni eredi di Moltke hanno sapore agrodolce per Washington. Ancor più per Parigi – dove il primato militare in Europa è dogma – Londra e perfno Roma. Tacciamo di Varsavia. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, gli alleati non vorrebbero un giorno cogliere i tedeschi, memori di Bismarck, mentre schierano le loro fresche divisioni dalla parte sbagliata.
Molto presto potremmo scoprire che di tutti gli sconvolgimenti in corso il più rilevante per l’Italia e per il resto d’Europa è il rientro accelerato della Germania nella storia. Mosca ha costretto Berlino a varcare la linea d’ombra davanti alla quale s’era sempre bloccata, convinta di poter serbare insieme vincolo non solo energetico con la Russia e fedeltà alla Nato. Fra la vita e la morte Scholz ha scelto l’America. Senza nemmeno avvertire il governo e i dirigenti del suo partito. Il cancelliere ha calato l’asso. Germania seguirà? O quella carta, in tempo breve, virerà in dama di picche? Puškin, per ora, tace.