Pietro Omodeo: Creazionismo ed evoluzionismo, di Alessandro Minelli Scientia, vol. I, n. 1 (giugno 2023)
Negli anni Cinquanta e Sessanta, Omodeo non era solo uno dei pochissimi biologi italiani che si occupavano attivamente della storia delle scienze della vita (nella sua breve autobiografia del 2009 mette in questo gruppo solo Roberto Savelli e Giuseppe Montalenti), ma anche uno dei pochi studiosi italiani che, all’epoca, improntavano i propri studi ad una chiave di lettura esplicitamente evoluzionistica. Come egli stesso ricorda, solo nel 1969 venne meno il princi- pio, più spesso tacito ma non di meno accettato, che bandiva dai congressi an- nuali dell’Unione zoologica italiana ogni riferimento all’evoluzionismo. (180)
Una rivisitazione ricca di sorprese, la sua, a cominciare dalla dimostrazione di quanto sia erronea la corrente identificazione del creazionismo come la posizione sostenuta fin dall’inizio dalla Chiesa Cattolica, in contrapposizione con un evoluzionismo laico, se non ateo. Omodeo dedica il secondo capitolo di Creazionismo ed evoluzionismo ad Athanasius Kircher, un gesuita molto scomodo… afferma, infatti, che gli animali salvati sull’arca, quando escono da questa e si disperdono su tutta la terra, vanno incontro a modificazioni per cause diverse e ne nascono anche specie del tutto nuove, ad esempio, per ibridazione… osserva Omodeo, che la Controriforma non aveva accolto l’idea di un atto creativo unico dal quale avrebbe preso origine il mondo vivente quale noi osserviamo ai nostri giorni, quasi che il Creatore, compiuto il suo atto, si fosse poi disinteressato per sempre delle sue creature. (181)
«Anche i Quadrupedi […] col genere degli uomini pur hanno molta, e molta parentela, tolta l’anima, e una più occulta, e più perfetta architettura degli organi. Chi è pratico della Notomia degli uni, e degli altri, sa quanta simiglianza di viscere è fra di loro, di maniera, che molti padri dell’Arte nostra non hanno fatta altra Notomia, che di Bruti, per essere simigliantissima a quella degli Uomini».(182)
La filosofia settecentesca comprende anche il vitalismo meccanicistico di Diderot e La Mettrie e il meccanicismo non materialista di Leibniz: nelle parole di quest’ultimo, «in natura tutto accade meccanicamente, ma i principi del meccanismo sono metafisici». Omodeo si sofferma in particolare sul Systême de la nature di d’Holbach (1770), secondo il quale «non è affatto contraddittorio credere che le specie varino senza cessa, e ci è impossibile sapere sia ciò che esse diverranno, sia ciò che sono state» e questo vale anche per l’uomo. (182)