Ragionare per decenni ha senso? IlPost 14/05/2024
Nel libro La cultura del narcisismo Lasch associò questa convinzione a una tendenza generale della società a vedere il passato come un insieme di modelli, mode e atteggiamenti puntualmente superati, e ad assecondare un’inclinazione alla nostalgia intesa non come condizione medica contraddistinta da sintomi fisici riconoscibili, ma come «un prodotto commerciale del mercato culturale».
Con le descrizioni di scrittori come Fitzgerald, ma anche Ernest Hemingway e Thomas Wolfe (tutti più o meno coetanei), la categoria di decennio acquisì sfumature normative, come quella di generazione. Cominciò cioè a implicare un’idea della storia come successione di valori culturali e tendenze – nell’abbigliamento, nella musica, nel cinema – in cui le audaci conquiste di una generazione, scrisse Lasch, diventavano le norme accettate da quella successiva, per poi essere superate a loro volta in favore di nuovi stili individuati e promossi dall’industria culturale.
L’inadeguatezza della categoria di decennio come contenitore di fenomeni complessi emerge peraltro dalla frequenza con cui espressioni come «coda lunga» si rendono necessarie per intendere che i temi di un certo periodo, teoricamente concluso, si estendono oltre i suoi presunti limiti temporali.
Immaginando l’esercizio dello storico come una telecamera, il decennio e le generazioni possono essere interpretate secondo Ostrofsky come una specie di tecnica dello zoom in: possono servire a rendere più comprensibile e familiare anche l’esperienza di persone vissute in un passato molto remoto. Ma per una comprensione della storia più ampia è necessario soprattutto fare zoom out e considerare gli elementi di continuità tra i decenni.
Un problema comune dei libri di testo di storia, scrisse Ostrofsky, è proprio il modo in cui tendono a impantanarsi in una storia del Novecento fatta di decenni tutti diversi gli uni dagli altri. A ogni nuova edizione gli autori si limitano a inserire capitoli sugli anni più recenti, senza modificare le parti già scritte. E il risultato sono lunghi libri di testo «che rafforzano la periodizzazione decennale e offuscano le continuità e i cambiamenti che hanno plasmato il secolo».