Nella mia ingenua e soprattutto superficiale visione del mondo – intendo dire che non sento mai di conoscerlo fino in fondo – ho guardato a quanto accade in Palestina con profondo dolore per un unico motivo molto personale: ho angoscia dei conflitti in cui la contrapposizione non permette di trovare un compromesso e dove l’atrocità ricopre ogni ragione con il terrore. Sembra, in queste situazioni, che la soluzione possa essere solo la vittoria totale dell’uno sull’altro. Troppo semplice, e la Storia mostra che non è poi così. Non c’è la fine della fine.
Ho letto un articolo di Christian Raimo (26 gen 2025) in cui scrive:
… fa impressione ascoltare Liliana Segre che parla della libidine “con cui troppi sembrano cogliere un’opportunità per sbattere in faccia agli ebrei l’accusa di fare ad altri quello che è stato fatto a loro. Un complesso di colpa collettivo prodotto dalla storia si scioglie in un rabbioso sfregio liberatorio verso lo Stato ebraico di Israele, non solo equiparandolo ai nazisti ma rinfocolando tutti i più vieti stereotipi sugli ebrei vendicativi, suprematisti, assetati del sangue dei bambini non ebrei dell’antisemitismo nelle manifestazioni per Gaza.”
Sembra la negazione stessa di quello sforzo e della forza di quella pedagogia, poter stare vicino al trauma degli altri, poter sostare nel trauma; la possibilità di sentirsi umani, senza vie brevi.
E questo non avviene solo sul piano retorico, nel dibattito sulla definizione di genocidio, ma nel non concedere la possibilità di guardare l’abisso dalla parte dei carnefici e non solo delle vittime, ragionando sull’ipotesi e il senso di essere entrambi.
Concepire la violenza di quello che accade a Gaza, provare a concepire la sproporzionatezza dello sterminio, è proprio il senso pedagogico che si voleva suscitare con la riflessione e il racconto dell’Olocausto, persino quello istituzionale del Giorno della memoria.
Non è un cortocircuito della storia, né una conversione da anime belle, ciò per cui oggi è esattamente quella pedagogia che fa scendere moltə in piazza per liberazione della Palestina e di Gaza, o pensare che il premier israeliano Benjaimin Netanyahu vada arrestato e processato come criminale di guerra.
Se si pensa che esista qualcosa di universale che riguarda tutti gli esseri umani.