Carlo Rovelli- Natura e individuo. Un fisico a tu per tu con Heidegger , “La Lettura”, 6 dicembre 2020
difficile avvicinarmi a Heidegger: l’orrore per il suo supporto molto esplicito al progetto di Hitler e per il suo fosco antisemitismo, … e il suo stile estremamente involuto e ampolloso, che di tutto dà l’impressione fuorché di volersi far capire.
perché quello che trovo interessare nei testi è quanto questi possono comunicarci, cioè quanto possiamo assorbirne che possa influenzare, aggiungere, modificare, controbattere, mettere in questione, e quindi arricchire il nostro pensiero. Cosa abbia autenticamente e precisamente voluto significare un autore, invece, è domanda, a mio vedere, di poco interesse, e comunque destinata a restare insoddisfatta: non entreremo mai nella testa di un altro. Ma non per questo non ci interessa ascoltare gli altri o leggere un testo.
influenzato dal pensiero di Cartesio e poi di Kant. Questi hanno messo il soggetto — in particolare il soggetto della conoscenza — al centro della speculazione filosofica. Per me questa prospettiva non è convincente, perché sono immerso nel naturalismo che domina il pensiero scientifico, per il quale il soggetto è solo una piccola parte della natura…
La grande intuizione su cui fonda Essere e Tempo, è che questa non sia solo una sorgente di informazione per ciò che possiamo sapere sul mondo, ma sia l’esperienza che ci permette di comprendere cosa significhi «essere», nel senso di «esserci», «esistere».
Quindi l’essere è ridotto all’esserci dell’uomo… Per usare il suo linguaggio contorto: l’essere è l’esserci dell’ente che pone la domanda dell’essere, cioè l’uomo.
Heidegger vede un singolo essere umano con la sua diretta esperienza di esistere e interagire con qualcosa che è il mondo circostante per lui, fatto di cose che hanno rilevanza per lui. In uno slogan, io penso che la mia esperienza sia parte del mondo; Heidegger vede il mondo come componente della sua personale esperienza.
Non c’è, a me sembra, reale contraddizione fra lo sforzo heideggeriano di comprendere l’essere appoggiandosi sull’essere dell’ente che si pone la domanda dell’essere, e il naturalismo, in cui questo stesso essere (l’uomo) è un piccolo guscetto particolare nel gran gioco della Natura.
Il punto è che ora Essere e Tempo diventa straordinariamente interessante. Perché è una genuina esplorazione della realtà come si manifesta al soggetto, piena di notevoli sorprese. Per esempio, per capire la relazione fra il soggetto e l’esterno non dobbiamo focalizzarci sulla conoscenza, come ha fatto, erroneamente — e qui Heidegger mi ha convinto — tanta tradizione filosofica occidentale. Quello che conta è altro. Quello che conta, è, appunto, quello che conta per il soggetto. Il mondo «esterno» non è per noi soggetti ciò che vediamo, giusto perché sta là fuori. È fatto da ciò di cui ci prendiamo cura, di ciò che ha interesse per noi. Le cose che non hanno interesse per noi e sono là fuori, sono per noi un residuo, un prodotto di scarto, rispetto alle cose che invece hanno interesse.
Essere e Tempo apre una prospettiva molto più interessante: non sono gli aspetti cognitivi che fondano il rapporti fra il soggetto e il mondo; è la rilevanza per il soggetto.
La biologia è in grado di operare una piena riduzione naturalistica di questa rilevanza: questo è il risultato filosofico della rivoluzione darwiniana. Gli organismi biologici sono prodotti da catene di processi caratterizzate da aspetti — che chiamiamo rilevanti — che di fatto ne determinano sopravvivenza e riproduzione. Questa rilevanza, o, in termini heideggeriani, «cura», è ciò che fonda la relazione fra soggetto e mondo.
il mondo non è «altro», ma è costitutivo di quello che Heidegger chiama «l’essere-nel-mondo» del soggetto.
mette in discussione la nozione newtoniana di tempo come realtà a sé stante, e interpreta il tempo come l’avvenire degli eventi; poi, siccome per lui gli eventi sono esperienziali, lo riduce al tempo vissuto. Ridurre il tempo all’avvenire degli eventi non è idea originale. È la concezione pre- newtoniana del tempo, come la si trova per esempio in Aristotele, che Heidegger ovviamente conosce a fondo.
La nostra coscienza, la nostra soggettività, non sono stati, sono processi. Noi siamo «esseri-nel-tempo». Ancora una volta, siamo sentire, emozione, prima che sapere.
La realtà vissuta dall’interno, non dall’esterno. Una bella avventura intellettuale.
A mio umilissimo giudizio, resta un punto di vista limitato: il limitato punto di vista di un esserino che non riesce a pensarsi se non il centro. Come un figlio unico che non si sia mai accorto che non è lui il centro del mondo. Ci sono anche gli altri esseri umani. E gli animali. E le piante. E le montagne. E le stelle. E le galassie. E se tutte queste cose sono parte del mio esserci, ancor più, sono io a essere parte di tutto ciò.
*******
Martin Heidegger e Carlo Rovelli. Una domanda urgente – e una risposta.
giovedì, 10 Dicembre, 2020 By Roberta De Monticelli
Perché NON è vero che il naturalismo scientifico non riesce a rendere conto della soggettività. Quello di cui non riesce a rendere conto è la normatività, e la “soggettività” solo in quanto il soggetto in questione sia un animale normativo.
Ecco la risposta che ho avuto da Carlo Rovelli stesso, che mi consente di renderla pubblica:
“Solo qualche commento.
Il primo è che io penso che si possa buttare via quasi tutto del pensiero di una persona, e lo stesso imparare qualcosa di interessante. … Ma sono d’accordo con lei che c’è di più che non ci piace.
Il secondo è che invece non sono d’accordo sul fatto che la normatività sia così difficile da capire in termini naturalistici. Diventa difficile da capire solo se ne facciamo un Assoluto innaturale, ma è questo l’errore. Mi sembra del tutto comprensibile il fatto che la nostra biologia, la nostra storia, la nostra cultura, cioè tutto ciò di cui siamo fatti, abbiano sviluppato quelle che chiamiamo norme, comprese quelle etiche. Comprenderne l’origine naturale non significa sminuire, significa anzi apprezzarle e dare loro concretezza.
Roberto
giovedì, 10 Dicembre, 2020 at 12:38
Mi pare che qui Rovelli si imbatta in un equivoco di fondo: non c’è una contrapposizione tra “rilevanza” e “conoscenza”, visto che ciò che non è rilevante per noi, non rientra neppure nel nostro campo cognitivo. La rilevanza è semmai vettore di conoscenza, proprio perché la conoscenza altro non è che esplorazione del senso stesso delle cose.