“Da qualche hanno ho la fastidiosa sensazione che qualcuno, o qualcosa, stia armeggiando con il mio cervello, ritracciando i miei circuiti neuronali e riprogrammando la mia memoria. La mia mente non se ne sta andando, – per quanto possa dire – ma di certo sta cambiando. Non penso più come prima. Lo sento soprattutto quando leggo. Era facile per me immergermi in un libro o in un lungo articolo: la mia mente si lasciava catturare dal racconto o dall’argomento, e passavo ore passeggiando tra lunghe distese di testo. Ormai mi capita raramente. Ora la mia concentrazione comincia a calare dopo due o tre pagine. Mi agito, perdo il filo, cerco qualcos’altro da fare. Mi sento come se dovessi sempre riportare il mio cervello ribelle al testo. L’immersione nella lettura che prima mi veniva naturale, è diventata una fatica.” (Is Google Making Us Stupid?, di Nicholas Carr – The Atlantic)
Siamo ormai in tanti a provare questa sensazione. Tutto nasce dal grande abbraccio con la rete che in pochi anni ha cambiato il nostro modo di leggere e secondo alcuni anche di pensare. Lo sguardo si muove rapidamente sulla pagina web, in modo trasversale, discontinuo. L’attenzione è breve e procede su piani paralleli perché il flusso di informazioni che leggiamo è sempre più ampio e complesso. Risultato: chi aveva imparato sui libri, ora legge in un modo del tutto diverso
Le opinioni divergono quando si pensa alle conseguenze di questo abbraccio tra la mente e la rete: da una parte si schierano gli scettici che vedono un futuro più stupido per l’uomo, ineluttabile. Dall’altra ci sono gli entusiasti che vedono il cambiamento del modo di vivere e di ragionare come un passaggio decisivo nell’evoluzione dell’umanità, tanto necessario (storia) quanto voluto (libertà).
Nicholas Carr, nel suo articolo Google ci rende stupidi?, si schiera fra gli scettici. La sua analisi è in stile giornalistico, ma accosta attualità, scienza, psicologia e filosofia con quella nuova capacità di volare sopra i territori dell’informazione e della conoscenza, che la rete ci ha insegnato, e lo stesso Google. La cosa sorprendente per me è stata quella di aver letto tutto l’articolo, senza perdere il filo e con pochissimi richiami alla concentrazione.
La discontinuità e rapidità della lettura sul web si contrappone decisamente alla linearità del testo e del libro. Ho pensato sin dall’inizio che ciò avrebbe portato a un cambiamento nel nostro modo di percepire la realtà e di rappresentarla (penso agli effetti del cinema e della televisione).
Mi sembra più difficile credere che le tecnologie di rete possano essere la causa di una trasformazione del cervello umano, piuttosto che l’effetto. Voglio dire che nella storia dell’uomo le invenzioni hanno sempre avuto un doppio aspetto di casualità e di necessità. La rete arriva in un particolare momento di incrocio tra sviluppo industriale, mercato globale, degrado ambientale, crescita delle popolazioni e migrazioni, allargamento delle conoscenze scientifiche, nascita di nuove istanze sociali e politiche. Ce n’è abbastanza per preoccuparsi di tutto il corpo e non solo del cervello.
Invece, sia gli scettici che gli entusiasti di Google sono convinti che la Rete porterà dei cambiamenti, in peggio o in meglio, al nostro sistema di pensiero. Trasformazioni non solo psicologiche, ma biologiche, neurologiche, e che in qualche modo “riordinano” il software della mente. Nel suo articolo Carr rende conto delle ricerche scientifiche in corso, e sebbene si facciano molte ipotesi non vi è nulla di accertato. Il cervello resta un mistero, come l’etica intellettuale di internet.
Gli psicologi parlano di un nuovo modo di pensare condizionato dalla rete, e persino di una nuova forma di “io”. Carr ricorda le parole di Nietzsche che, già anziano e mezzo cieco, dopo aver imparato a usare la macchina da scrivere, disse: «gli strumenti con cui scriviamo influiscono sui nostri pensieri». Cosa vuol dire? Che l’Uomo nuovo di Nietzsche poteva uscire solo da una penna d’oca?