Destreggiarsi sulle onde come tra le parole. La somiglianza tra sofista e surfista non va aldilà del suono delle parole. E il paragone non piacerebbe neppure ai surfisti. Nell’articolo di MB non se ne parla, per fortuna. Si cerca invece di analizzare come i sofisti abbiamo sviluppato il rapporto fra linguaggio e politica. Ogni giorno molti politici o i loro portavoce mediatici, ci inzuppano di parole per acquisire o manipolare il consenso. È attraverso il linguaggio che i “ragionamenti” della politica si articolano nella comunità e si trasformano in atti, e gli atti in parole. L’autore dell’articolo scrive che “Il linguaggio è un fatto politico”, e che “l’uomo è un animale politico, ma è fondamentale che “le parole rimangano patrimonio condiviso”. Come non essere d’accordo.
Nelle parole come nei fatti è l’ordine del discorso (il ragionamento, la logica) che trasforma le parole in cose. Ma è nell’ordine delle cose che il controllo, il potere e la politica trovano il filo conduttore per governare e impedire la condivisione di parole e cose.
Il linguaggio, invece, è così vasto e granulare da trasformare in consapevolezza anche ogni atto che non sia politico.
E i sofisti? Sono in California, a Mavericks.
Il mondo senza un senso assoluto: la verità è frutto di un negoziato
di Mauro Bonazzi, Corriere La Lettura 24.5.15
Alcuni “passi” dell’articolo:
I sofisti sono i perdenti della storia. Ne fa fede il termine stesso, «sofista»: da esperto del sapere ( sophistes è imparentato con sophia , «sapienza») a poco più che ciarlatano. Sofista, oggi come ieri, è chi gioca con le parole, chi imbastisce ragionamenti capziosi al solo fine di prevalere in una discussione. Il giudizio di Aristotele è tombale: il sapere dei sofisti è un sapere delle apparenze e dunque un’apparenza di sapere. Un sapere illusorio, fatto di parole brillanti ma vuote: fossero vissuti oggi, i sofisti imperverserebbero negli studi televisivi, pronti a sostenere non importa quale tesi, capaci delle più imprevedibili giravolte. Oppure, ma in fondo è la stessa cosa, li troveremmo nelle stanze segrete della politica, impegnati ad ammantare di belle parole i propositi non sempre nobili dei loro capi. Gli altri, le persone per bene e i filosofi, fanno altro, si occupano di problemi seri, e di cose reali.
La questione è però che anche i sofisti, spregiudicati e cialtroni quanto si voglia, si occupano di cose reali. Si occupano delle parole, che sono come un pharmakon, diceva il sofista Gorgia, come una medicina o una droga, sostanze che possono salvare ma anche uccidere.
Questa è la realtà dei fatti: la giustizia è il valore che regola i rapporti all’interno di una comunità. Ma essa non è assoluta (vale a dire indipendente dagli e superiore agli uomini) o neutra (vale a dire distaccata e imparziale): è piuttosto il risultato dei rapporti di forza che attraversano una data società. La giustizia è il sistema di regole che chi detiene il potere impone agli altri per tutelare il proprio interesse.
Questo atteggiamento disincantato potrà spiacere per il suo cinismo ostentato. Il mondo visto con le lenti dei sofisti è in effetti un mondo ambiguo, faticoso, dove tutti hanno qualche ragione da far valere e qualche interesse da difendere.
L’intuizione dei sofisti è insomma la presa d’atto della relazione costitutiva tra il linguaggio e la politica. L’uomo è un animale politico e la politica si fa prima di tutto con le parole: il linguaggio è un fatto politico. E questo apre anche a una dimensione più positiva. La lezione dei sofisti è anche un invito a farsi carico delle proprie scelte in modo consapevole, a costruire insieme un mondo in cui ci si possa ritrovare, uscendo dalla logica della forza.
Bisogna insomma vigilare affinché le parole rimangano patrimonio condiviso. Non sembra un problema centrale, e invece è fondamentale.
Ma davvero sconvolgente, riferisce Tucidide, è quello che era successo alle parole: avevano perso un significato condiviso, venivano usate per fini privati, per giustificare non importa quali azioni. La guerra civile, la riduzione degli uomini a uno stato bestiale, passa anche per la manipolazione delle parole.
Si badi: le parole sono sempre instabili e i significati sono sempre il risultato di una negoziazione. Il problema è quando si perde coscienza di questa instabilità. Rileggere quei cattivi maestri che sono stati i sofisti potrà forse servire a evitare di ricadere in questo errore.
fonte Il linguaggio, la politica e noi. I sofisti hanno ragione
Collegamento a Protagora di Russell,